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Amadeus

Regia di Milos Forman vedi scheda film

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La recensione su Amadeus

di LorCio
10 stelle

Il genio ribelle di Wolfgang Amadeus Mozart non poteva che essere portato sul grande schermo in una biografia non convenzionale. D’altronde Milos Forman non è di certo un conformista e, sulla base di un copione scritto da Peter Shaffer per una sua commedia, dirige un’opera assolutamente magnifica. Intanto a raccontare la storia non è Mozart stesso e non è lui al centro dell’azione. A far da padrone alla scena c’è Antonio Salieri, ex musicista di corte finito in manicomio dopo aver tentato il suicidio. Ricevendo la visita di un giovane pretuccio ha l’occasione di rievocare la sua vita, la quale ha avuto una sola missione: distruggere Mozart, di cui era profondamente invidioso. Più che altro era invidioso del suo talento, donato all’enfant prodige da Dio – a suo dire, e non degno di lui. Perché? Perché Mozart è infantile, volgare, immorale, dalla risata malsana, dai vizi dissoluti. Come farlo fuori? È quasi sicuramente ciò che di meglio si è mai prodotto sul conflitto tra talento e mediocrità, tra genio e incapacità. Quello tra Mozart e Salieri è una battaglia sulla concezione che ognuno dei due ha sulla musica, sulla sua potenza, sulla sua provenienza.

 

Ad una prima parte più brillante, che vede un Salieri tutto preso nello smontare il baraccone Mozart, che attende uno sbaglio, un errore compiuto dal giovane, ed ingenuo, musicista, ed è dunque un racconto sull’invidia con protagonista l’invidioso. Quando il gioco si fa più drammatico, e la fine è più vicina, Mozart si ruba la scena, riducendo Salieri a spettatore più che contento di vedere l’autodemolizione di Amadeus e a deus ex machina della sua discesa agli inferi: travestitosi con lo stesso, inquietante vestito nero che già aveva indossato il padre di Mozart, Salieri gli commissiona una Messa da Requiem al fine di poterla suonare durante il funerale del rivale. Non va come aveva sognato, il genio non si può neanche permettere una cerimonia dignitosa e viene sbalanzato in una fossa comune. La potenza viscerale e sofferente del film è proprio l’inattendibilità storica registrata specialmente negli ultimi giorni di Amadeus, che creano un’atmosfera fosca, delicata sulla vicenda umana del compositore.

 

Il lungo flashback, che propone anche un affresco della vita artistica viennese, con intervalli tratti da alcune opere dei due musicisti in gioco, è raccontato da un Salieri invecchiato e non del tutto appagato della morte dell’antagonista e la sua confessione al prete ha un che di elegantemente angosciante. Elegante è dopotutto l’intera confezione, orchestrata da un Milos Forman in stato di grazia che fotografa le terre d’Europa con innata classe e con un tono decadente e raffinato. La carta vincente del cast è un Fred Murray Abraham davvero strepitoso nella sua caratterizzazione sublime, controllata, perfida del cattivo della situazione, ossia l’italiano Salieri. L’ultima sequenza, con quella assoluzione ai malati di mente, è da antologia. Ma anche Tom Hulce nei panni di Mozart si contraddistingue come interprete nervoso e inquieto. Poveri fans di Salieri che, seppur pochi, hanno dovuto vedere il loro beniamino in un ruolo mefistofelico. Una valanga di Oscar: film, regia, sceneggiatura, attore (Abraham), costumi, suono, trucco, scenografia – ma avrebbe meritato anche la fotografia. Golden globe per il miglior film drammatico e la miglior regia. David di Donatello a film, Forman e Hulce.ì

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