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Orecchie

Regia di Alessandro Aronadio vedi scheda film

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La recensione su Orecchie

di Spaggy
8 stelle

Risvegliarsi con un brusio alle orecchie. Cercarne di capire le ragioni e partire per una lunga odissea che permette di scoprire chi si è e dare un nuovo senso a un’esistenza ferma su valori, principi e ideali, che non permettono al singolo di diventare parte della società circostante. Questo l’assunto attorno a cui si sviluppa Orecchie, opera seconda del palermitano Alessandro Aronadio, sviluppata e prodotta grazie al sostegno di Biennale Cinema.

Il protagonista, un giovane supplente di filosofia sulla trentina di cui non si conoscerà mai il nome, si sveglia una mattina nel suo letto con un assordante fruscio all’orecchio. Quale ne sia la causa non si sa. Poiché gli impegni della giornata sono scarsi, a parte la partecipazione al funerale di un certo Luigi di cui nessuno sa nulla e che è agli occhi di tutti uno sconosciuto, il nostro Ulisse decide di recarsi al pronto soccorso, non prima di avere aperto la porta a due suore che portano la parola di Dio e a un’anziana vicina di casa che porta con sé i ricordi di una vita, un album fotografico a cui aggrapparsi per vincere la solitudine.

L’arrivo al pronto soccorso non è indice di genialata. Sin da subito appare evidente come il “calvario” che attenda il giovane sia allucinante e surreale: un’addetta al triage che si preoccupa più dei messaggi sul suo smartphone che dei pazienti, un otorino che in nome della sua laurea appesa alla parete pretende di essere il detentore della verità (medica) assoluta, un gastroenterologo in prossimità della pensione che ha in mente solo di portare a termine lo scherzo della sua vita, un vecchio degente con problemi di respirazione che non riesce a rinunciare alla propria “salutare” sigaretta, un bancomat impazzito, uno studente che vede nella musica la sua unica arma di realizzazione.

Non pago della già disastrosa mattinata, il filosofo tenta di rientrare a casa ma sul portone viene fermato dall’amico Remo, che necessita di un’alcova per qualche ora con la sua (occasionale) amante e che è propenso a elargire consigli sulla situazione sentimentale del padrone di casa. Già, perché il nostro Lui (lo chiameremo d’ora in poi così) è anche fidanzato con Alice, una dentista che a detta di molti non sorride. Il motivo per cui Alice non sorride diventa insieme al fruscio nelle orecchie il leit motiv del continuo vagare del protagonista. Perché Alice non sorride? Forse le manca qualche attenzione? Basta un mazzo di fiori per riaccendere in lei la voglia di sorridere?

Dopo un’inutile sosta nello studio di Alice, Lui incontra casualmente la madre in compagnia del suo nuovo compagno artista. Un pranzo in un fast food con un cameriere ligio al suo dovere di spacciatore di menù fissi e uno scambio di battute tra i tre commensali permettono di capire qualcosa in più di Lui, da sempre chiuso nel suo mondo e incapace di capire, metabolizzare e spiegarsi, le differenze comportamentali altrui, e in grado di aprirsi esclusivamente con colui che nella sua formazione ha rappresentato un faro: il professore Marinetti.

Nella lunga giornata romana, Lui ha anche un appuntamento di lavoro con la direttrice di un quotidiano, in procinto di lanciare un nuovo inserto settimanale all’interno del quale tra i vari gossip vorrebbe una rubrica di filosofia. Del resto, Kant e il topless sono da sempre andati d’accordo: ragionamento che non fa una piega. Sfumati i 2500 euro di compenso mensile a causa dei disguidi generati dal brusio sempre più assordante, Lui decide di far tappa a casa Marinetti, trovandovi una moglie disincantata e un marito oramai del tutto rinchiuso in una bolla, in cui convivono pensieri silenziosi e passione per i videogames. I pensieri silenziosi, le utopie e i sogni sono stati gli elementi che hanno legato Lui al professore ma qualcosa inevitabilmente è cambiato, si è rotto quel cordone ombelicale che li legava nel loro essere naif e si è aperta una nuova finestra: cosa c’è di più bello che pensare cose stupide senza rendersene conto? Non è questo forse il privilegio della gioventù?

Il funerale di Luigi incombe. Lui, seppur non abbia idea di chi sia, si reca in chiesa, dove il prete sta già preparando il funerale. Chi sia Luigi viene a galla ma, consapevolmente, evitiamo lo spoiler. L’identità di Luigi è la risposta al cambiamento di Lui alla presa di consapevolezza di chi è e di chi sarà. Da un prete sui generis per cui la Bibbia ha passaggi che non significano un cazzo, Lui impara la più grande delle verità, qualcosa che da sempre lo attanaglia e che finalmente trova una risposta.

Il peccato più grande è quello di non abituarsi al mondo, è la paura degli altri. Credere in qualche cosa serve ad avere meno paura. Questa è la grande lezione di cui Lui necessitava per ritrovarsi: la rabbia per la gente felice, quella rabbia che inconsapevolmente sentiva dentro nei confronti di coloro che si aggrappavano a cose (per lui) di poco conto, non era altro che invidia per la felicità che questi provavano. Ma la colpa non era del mondo o della gente ma solo sua, sua perché sentendosi più intelligente non era in grado di vedere cosa lo circondava, rimanendo infelice, dimenticato e solo. Non è forse la follia la nuova normalità?

Nel suo viaggio on the road a piedi in una Roma fotografata in uno scintillante bianco e nero, Lui trova una risposta al suo scollamento dalla realtà e smarrimento. Chi siamo noi senza confronto con ciò che ci circonda? Chi siamo quando decidiamo di vivere in utopiche dimensioni alternative? Chi siamo quando ci facciamo bastare quel po’ che abbiamo e non capiamo cosa o chi circonda? Chi siamo quando pieni di noi stessi non siamo in grado di accorgerci delle minime differenze che intaccano chi amiamo? Da filosofo qual è, Lui sembrava aver perso la retta via della giusta dimensione del suo ego. Individuo e società nella sua quotidianità non sembrano interagire: ciò che non è lui, è folle. Ciò che non gli appartiene è inspiegabile.

Focalizzandosi su un tema che avrebbe potuto facilmente portarlo fuoristrada, Aronadio tiene salde le redini del racconto grazie a una sceneggiatura che, senza forzature, propone una sorta di viaggio dantesco nell’inferno della quotidianità. A far da Virgilio nel suo racconto è la figura di Luigi mentre i vari gironi sono allegoricamente illustrati dagli incontri della giornata. In un puzzle i cui pezzi si incastrano alla perfezione, Aronadio ricorre alla commedia come forma ma si allontana da ciò a cui tutti siamo oramai abituati: trivialità ed eccessi lasciano posto a un umorismo sottile, elegante, verbale e talvolta mimico, che lo stesso regista definisce ebraico. Le situazioni mostrate, seppur assurde, raggiungono la verosimiglianza senza forzature e appaiono naturali. Anche quando si carca la mano come nel caso della visita dal gastroenterologo con annessa ecografia, il racconto non avverte alcuno strappo di tono e la più irreale delle diagnosi si trasforma quasi in naturale, sospendendo anche le più minime nozioni scientifiche di cui chiunque di noi è in possesso. Senza pretese di natura darwiniana, Aronadio mostra come l’evoluzione dell’uomo moderno ricorrendo al sorriso: la religione, un album fotografico, una vodka, una playstation, degli elenchi telefonici o un’amante, diventano la prosecuzione dell’Io e lo denotano, lo rendono visibile e lo affermano.

In maniera inedita, Aronadio gioca con i rapporti di aspetto del suo Orecchie. L’allargarsi dell’immagine è progressiva e coincide con l’apertura mentale del protagonista, dall’1:1 si arriva all’1:85 (85 come i minuti del film). Dapprima chiuso in una scatola, Lui trova pian piano spazio, allargando il suo mondo e il suo spazio d’azione, prima di finire in un liberatorio schermo largo.  Scegliendo come protagonista Davide Parisi (la cui prossemica e mimica si prestano alla perfezione al nostro Lui, che cambia anche modo di porgersi fisicamente e verbalmente agli altri con lo scorrere della storia), Aronadio lo circonda di comprimari e cammei di lusso: accanto a Silvia D’Amico e a Pamela Villoresi, rispettivamente Alice e la svampita madre di Lui, piazza Andrea Purgatori e Massimo Wertmüller come atipici medici, Ivan Franek come il compagno performer della madre, Piera Degli Esposti come direttrice del giornale (la copertina del suo Noi è tutta un dire), Milana Vukotic come la moglie del professore Marinetti, Sonia Gessner come la vicina di casa e, soprattutto, Rocco Papaleo come il parroco (beone) che celebra il funerale di Luigi e Niccolò Senni come spettacolare addetto al fast food (un automa che ragiona per menù e senza alcuna elasticità mentale, parte di una catena di montaggio che spersonalizza l’individuo).

Daniele Parisi

Orecchie (2016): Daniele Parisi

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