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Il più grande sogno

Regia di Michele Vannucci vedi scheda film

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La recensione su Il più grande sogno

di OGM
6 stelle

Mirko Frezza racconta un sogno incontrato per caso. Non importa come sia andata.

Forte fortissimo. La borgata è una bomba. La volontà di riscatto è la nuova forza che fa urlare per le strade. Basta la voce di Mirkone a far cambiare la musica. Recuperare la dignità perduta è il nuovo gioco da uomini veri. L’emarginazione e gli sguardi spenti sono gli stessi di sempre, ma questa volta si può creare qualcosa. Il pensiero, dietro il sipario sgualcito della rabbia, ha finalmente preso una forma concreta: c’è un quartiere da convertire in un posto in cui abitare e lavorare. Il travagliato percorso di un sogno si srotola sotto i nostri occhi, con il suono ruvido della frustrazione striata di determinazione, con l’accento virile e popolaresco che, parlando di passione, afferra l’anima e le fa accettare anche l’asprezza. Un uomo vuole voltare pagina. Vuole essere diverso, ma non da solo. È il boss che cerca la sua gente per potersi trasformare, per diventare parte di un tutto, per avere la conferma di essere nel giusto. Il leader della rinascita – che si ritrova tale per caso – intende dimenticare il passato seppellendolo sotto una terra ripulita, fecondata, coltivata. Filari di piante al posto dei cumuli di detriti. Cibo per i poveri anziché birre con gli amici. Tutto in nome della realtà, che ha bisogno di essere presa di petto, per quella che è, senza retorica, senza falsi moralismi. Mirkone non smetterà le vesti rudi che ha sempre indossato, non sarà più conciliante, né meno schietto e severo. Non reciterà, non fingerà di vedere la bellezza dove non c’è mai stata. La sua prosa continuerà ad evitare le sdolcinature della poesia benefica. Come un canto che nasca dal profondo della gola, e non cerchi di salire al cielo, il suo suono resterà un cupo accento di periferia, orgoglioso delle proprie gutturali stonature. Mirkone, nel raccontarsi, rende udibile il cupo fruscio delle pagine che, sfogliandole, restano incollate alla dita, e un po’ si accartocciano, indocili al rituale movimento della rievocazione.  È accaduto quello che doveva. Si è fatto ciò che si poteva. Tutto è stato vissuto fino in fondo. La solita logica non si è spezzata. Ma l’attrito è stato vinto. Il digrignar di denti ha dato, infine, i suoi faticosi frutti. La strada è comunque rimasta accidentata. Se ne sente ancora il crepitio, in sottofondo, come un’eco che riconduca il ticchettio del tempo al rumore secco di una verità fatta scrocchiare fra le dita. Come per dire: così è, e così sia.    

 

Mirko Frezza, Alessandro Borghi

Il più grande sogno (2016): Mirko Frezza, Alessandro Borghi

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