Regia di Denzel Washington vedi scheda film
Parlare di barriere oggi è tutt’altro che anacronistico, ma a dare la sensazione che il dramma di Troy Maxson, ambientato negli anni 50’, sia poco più che uno scolastico omaggio a una tradizione è la visione del mondo a cui la struttura e lo stile di regia del film rimandano: un lungo viaggio fra sogni infranti, tradimenti, lotte con la morte, conflitti razziali e generazionali, raccontato e mai mostrato, interiorizzato dall’empatia dell’attore protagonista e imbrigliato dall’angusto palcoscenico a cielo aperto di un cortile in un quartiere proletario di Pittsburgh. La pièce, tradotta in pellicola da Washington, una delle dieci che compongono “The Pittsburgh cycle” del drammaturgo afroamericano August Wilson( 1945-2005), è una ben orchestrata composizione capace di amalgamare odi e dilemmi di un’esistenza concepita come un dovere da compiere in nome del quale si sacrificano aspirazioni, sentimenti e persino rancori. Chi ne ha reminiscenza si gusta la versione operaia di “Morte di un commesso viaggiatore” e si rassegna al confino fra il giardinetto spoglio e la cucina.
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