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Are We Not Cats

Regia di Xander Robin vedi scheda film

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La recensione su Are We Not Cats

di yume
2 stelle

“Tricotillomania” è l’impulso maniacale a tirarsi i capelli (e, in genere, i peli del corpo) fino a strapparli.

locandina

Are We Not Cats (2016): locandina

 

Qualche riferimento celebre, in proposito.

 

Meravigliosa dote, quella dei Greci, di agglutinare intere radure della vita umana in luminescenti parole che in un sol colpo fondono l’oggetto, l’azione e la sua motivazione profonda: trico/tillo/mania converge tutta nel morfema finale.

 

La “mania”, quel sacro empito divino di cui parlò Platone, genesi delle arti, dell’amore e di quella straordinaria attitudine dello sguardo che chiamiamo capacità profetica, diventa, se si perde l’armonia delle proporzioni tra lo spirito e il corpo, furore, debolezza, perdita e sconfitta.

 

Perché allargarsi tanto per parlare di un film?

Giusta domanda, e la risposta potrebbe essere: per cercare una ragione valida a capire se, in che misura e perché un prodotto possa definirsi artistico, perché raccolga non pochi e autorevoli consensi da parte di molti, e, se possibile, cosa impedisca ad altri, pochi, di goderne appieno.

 

E dunque? Parliamone.

Are we not cats tira in ballo i gatti nel titolo per puro pre-testo narrativo, autorizzando però, e perciò, ad un’indagine etologica non peregrina (del genere “questa dove vuol andare a parare?”).

E’ vero, i gatti digeriscono anche le pietre, figuriamoci i capelli.

Non altrettanto digerisce l’eroina del film, un esordio nella fiction di tale Xander Robin ricchissimo di citazioni che non ripeterò, chi ha apprezzato il film ha abbondantemente profuso dottrina e richiami celebri, basta leggere in giro.

Restando ai piani bassi di chi il film lo guarda con cura cercando motivazioni, segnali, ammaestramenti e di-vertimento (attenzione, abbiamo cominciato con Platone, atteniamoci all’etimo delle parole!) diciamo che sangue, tagli chirurgici e non, menomazioni e manipolazioni varie al proprio e altrui corpo, ne abbiamo visti tanti e tanti ancora ne vedremo, per finta e, molti di più, dal vero.

Dunque non è qui il problema.

Il problema non se lo posero neppure i Greci che, ben sappiamo, nulla risparmiarono alla popolazione ateniese che, per l’occasione, apriva i teatri anche a quel sottoprodotto che sono le donne.

Queste, infatti, assistevano alla pari dei loro mariti e amanti a stupri, incesti, mutilazioni varie, parricidi e matricidi, uccisione di figli, vendette per fuoco o per veleno e via discorrendo, il repertorio è ampio e ben documentato.

Ma, forse per limiti tecnici, forse perché immaginare è meglio che vedere, tutto avvenne dietro la scena e la fantasia si sfrenò a più non posso.

 

Ma,e ancora ma, per non essere tacciati di passatismo, di pedanteria, di crassa ignoranza o incapacità di apprezzare il nuovo, possiamo addurre a parziale credito il grande apprezzamento di scenari non propriamente idilliaci visti in produzioni cinematografiche di altissimo pregio e per tanti anni (basta fare un giretto fra Giappone e Hong Kong, ad esempio).

 

Non sembra invece che di pregio sia il caso di parlare per Are we not cats, banalotto nell’assunto di base, il solito, abusato focus sul disagio giovanile, sul crollo della famiglia, sulla solitudine che scenari nordici di ghiaccio e nevi perenni sottolineano con rigoroso fervore.

Il fatto che eroe ed eroina si incontrino sul pelo (chiedo scusa per il non voluto doppiosenso pecoreccio) è la vera novità del film, e questo dovrebbe farlo apprezzare, oltre, naturalmente, alla bellissima colonna sonora molto gradita anche da inesperti del settore come me.

Ma dovrebbe non significa deve.

Benchè abituata a seppuku , sgozzamenti e decapitazioni in diretta, vedere un bolo sanguinolento di capelli estratto da uno stomaco (non in sala operatoria, però, che già sarebbe dura!) e quindi sistemato con opportuna aggiunta di lucine e presa di corrente in discoteca come trofeo di pace e d’amore finalmente conquistati è cosa che si fa fatica a … digerire.

Ma molto probabilmente questo è grande cinema, molto probabilmente questo è quel che apre le porte ai nuovi linguaggi della settima arte, molto probabilmente questo è quel che passa il convento (e la metafora gastronomica continua …) se la Settimana della Critica veneziana ha pensato bene di proporlo, ed acclamarlo.

Così va…

 

 

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