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Spider-Man: Homecoming

Regia di Jon Watts vedi scheda film

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La recensione su Spider-Man: Homecoming

di lussemburgo
9 stelle

 

Non è l’ennesimo reeboot della storia di Peter Parker il nuovo capitolo di Spiderman, tanto che le origini dei superpoteri e del senso di responsabilità da essi derivante sono così implicitamente famose che non vengono quasi menzionati e rimangono il tacito sottofondo della narrazione. La quale, nel suo insieme, come un po’ tutte le avventure dell’Uomo Ragno, data l’età anagrafica del personaggio, compongono un complessivo Bildungsroman di un adolescente alla scoperta della vita adulta e delle sue implicazioni. Ed è proprio dalla giovinezza del protagonista che ripartono queste nuove peripezie di Spiderman, nate dalla collaborazione tra Marvel Studios e Sony, detentrice effettiva dei diritti cinematografici del supereroe. Il segnale di questa cooperazione è già nei titoli di testa, con la musica dello Spiderman classico (già televisivo prima che cinematografico) che risuona sullo scorrere del logo animato dei Marvel Studios, dando insieme anche la cifra di un film che si vuole consapevole e indirizzato ad un pubblico già avvezzo alle vicende del personaggio e non soltanto al giovane neofita.

Dopo l’introduzione temporanea in Civil War nello scontro berlinese tra fazioni opposte di eroi che, di fatto, costituisce il prologo al film, Peter Parker, reclutato da Stark per quell’occasione e dotato di un nuovo costume che replica gli accessori di Iron Man moltiplicando i suoi poteri “proporzionali di un ragno”, vive da quel momento nell’attesa di un ritorno sulla scena degli eroi in calzamaglia, frustrato nella sua vita di liceale pur dotato. Se il MCU fornisce il contesto supereroistico diffuso e noto degli Avengers, il personaggio si trova adesso nella inedita variante teen-dramedy, estranea agli altri paladini. È infatti la trama scolastica a prevalere e a confondersi con quella avventurosa in quel miscuglio di azione ed emozioni contrastanti che già caratterizzano le gesta a fumetti del personaggio.

L’intuizione del film è proprio nel rimanere fedele alla lettera della caratterizzazione ma di rimanere del tutto libero nella costruzione dell’intreccio per poter rimescolare, con più moderna efficacia, le classiche carte. L’integrazione nel filone Marvel avviene pertanto attraverso una figura pseudo-parentale come Tony Stark, che impone severe regole di comportamento e nell’uso del costume attraverso anche l’azione vicaria di Happy (Jon Favreau), nominato - suo malgrado - custode del giovane aspirante Vendicatore. L’importanza del costume nel potenziamento di Parker fa dell’Uomo Ragno un Iron Man in miniatura e di Stark il suo nume tutelare, deus ex machina del successo del giovane eroe nonché garante dei suoi fallimenti (l’intervento sul treaghetto). La responsabilità nella gestione dei poteri diventa quindi, adesso, anche la capacità di controllo delle dotazioni tecnologiche di Stark, con un aggiornamento del vecchio motto a tempi più moderni. In questo senso la scelta di Favreau come sorvegliante di Parker dà all’autore dei primi Iron Man la funzione di supporto e co-creazione del mini-eroe, difatto enfatizzando il ruolo di Spiderman nella sua nuova accezione di versione speculare in scala ridotta del miliardario corazzato.

Derivato dai fumetti ma non debitore di ogni riferimento, Spiderman è impregnato dal senso di responsabilità e dalle conseguenza di ogni scelta. Tutto il film, anche se non apertamente denunciato dai dialoghi, è costruito attorno al concetto di responsabilità, dalle priorità tra studio e “lavoro” (inteso come impegno e ambizione da supereroe), tra integrazione e marginalità (nel mostrare o meno le proprie abilità per ricevere adulazione), tra affetto e morale (per non mettere in pericolo i cari). In questa linea si inserisce anche appieno la vicenda dell’Avvoltoio che, con un colpo di scena, mostra un’inaspettata identità civile che costringe Peter ad dover scegliere tra la prudenza o la denuncia, optando per la seconda per non replicare l’errore già commesso con lo zio Ben nel fuoricampo mnemonico della genesi dell’eroe.

Rispetto agli Avengers e alle precedenti avventure degli altri eroi del Marvel Cinematic Universe, in Spiderman - Homecoming prevale la dimensione umana e cittadina, un realismo di sottofondo che stempera la tendenza ad essere sempre bigger than life di ogni eroe in costume. Con una New York devastata dai Citauri (ed eco di altre distruzioni terroristiche) e una ricostruzione in atto, ma anche con la distribuzione di una potente tecnologia aliena che permette la costruzione clandestina di armi inedite e che giustifica (ora come, molto probabilmente, nei prossimi capitoli) la proliferazione di supernemici superdotati (l’Avvoltoio e Shocker qui, mentre si profila già lo Scorpione di Gargan e si accenna ai temibili Sinistri Sei) rendendole lo sviluppo accettabile (con le Stark Industries al posto della Oscorp del Folletto).

Il film, inoltre, dimostra di aver effetticacemente recepito l’insegnamento della moderna serialità televisiva nello strutturare i personaggi secondo caratteristiche realistiche e comprensibili (se non addirittura condivisibili), permettendo così ad ogni estrapolazione fantastica di apparire plausibile. Pertanto la clandestinità criminale dell’Avvoltoio diventa conseguenza di una scelta forzata dalle contingenze, non un’aspirazione preliminare, la necessità di difende e provvedere alla famiglia, anche se, successivamente, si innesta su questa motivazione preliminare una forte tendenza sociopatica. Inoltre, negli accenti folli e contemporaneamente ingenui o nel prevalere degli interessi familiari ed economici, in Michael Keaton (già eroe volante allucinato in Birdman) sembrano riflettersi atteggiamenti e tentazioni derivate del più classico rivale cinematografico di Parker, Norman Osborn (e del suo esaltato Goblin). Ma Homecoming deriva dalla serialità anche l’introduzione di dettagli destinati ad ulteriori e futuri sviluppi, l’immissione di informazioni inerenti all’andamento di altre linee narrative (Pepper Potts tornata alla guida delle Stark e di nuovo fidanzata di Tony; il cambio della sede degli Avengers con la vendita della Stark Tower), i filmini educativi di Captain America, eroe nazionale sebbene al momento criminale latitante; il Quinjet, centrale in Agents of Shield, la serie televisiva derivata, visto qui soprattutto nei dettegli esterni del dispositivo di camuffamento.

Peter Parker, ottimamente incarnato da un ironico e atletico Tom Holland, è però, soprattutto, uno studente al secondo anno del liceo, con amici nerd e amiche irraggiungibili, tra cui Flash (adesso di origini latine, ma che fa comunque il gradasso e lo umilia), Liz, un nuovo interesse sentimentale (dissimile ma analoga alla Liz Allen dei fumetti), una MJ che ha le iniziali (da Michelle Jones) ma non il nome di Mary Jane Watson (ed è una nerd al femminile), Betty Brand con la fascetta nei capelli tipica di Gwen Stacy. L’ambientazione liceale, nel tono e nelle atmosfere, sembra prendere le mosse dai classici studenteschi degli Anni 80 come Una pazza giornata di vacanza (citato direttamente) o come gli altri film di John Hugues (Breakfast Club, Pretty In Pink) o di regie analoghe (Risky Business, ad esempio). In questa rilettura contemporanea e quotidiana di Spiderman il sottotitolo “Homecoming” non solo fa riferimento al ballo liceale annuale, tormento e sogno di ogni studente americano, ma. letteralmente, indica anche un ritorno alle origini per il personaggio, pur nella quasi totale distanza dalla lettera del dettato fumettistico. E in questa linea si inserisce anche la scelta di un certo realismo fotografico e di una regia hawksiana, trasparente e tendente a rendere viva la scena senza interventi vistosamente autoriali, nella pura ricerca della massima efficacia che, qui, risiede nelle scene di commedia, le quali maggiormente danno il sapore del film. Perché, in fondo, si tratta semplicemente delle avventure di un sedicenne che sogna di diventare un eroe ma non riesce nemmeno a dire alla ragazza accanto che gli piace, mentre lotta, anche metaforicamente, con i vicoli delle autorità scolastiche, parentali e lavorative, per cercare di essere e trovare se stesso e il proprio ruolo nel mondo.

Anche nel finale la scelta è il fulcro del film, con Peter che rifiuta un ulteriore upgrade del costume (e dei suoi poteri) per farsi le ossa nella sua città (e rimanere “un amichevole Uomo Ragno di quartiere”) e costruirsi quell’esperienza (e la relativa responsabilità) indispensabili alla sua crescita. Sul fatto che zia May, molto ringiovanita e attraente, sia in pena per il nipote e rischi di scoprirne il segreto, si rimanda alla prossima, inevitabile, puntata.

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