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Blade Runner 2049

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Blade Runner 2049

di BigSur
6 stelle

Non un tracollo, non il "Padrino parte seconda" del 21mo secolo, ma un'occasione mancata a causa di seri problemi formali

La prima reazione all’uscita della sala è di sollievo: BR 2049 è molto meglio di quanto ci si aspetti, di questi tempi. Dopo aver visto quasi tutti i film di Villeneuve a partire da Incendies, avevo seri timori.

Il canadese è un vero talento visivo ma si lascia travolgere dall'accumulazione, nella sceneggiatura come nei ruoli, mostrando una testarda propensione per le intricate “spiegazioni” ai suoi misteri che, spesso, sono raffazzonate e inconseguenti.

Tutto questo ahimè si ritrova anche in BR 2049 e purtroppo disgrega molte delle buone intenzioni e intuizioni del film -  non interessa qui capire se la responsabilità debba cadere più sugli sceneggiatori o sul regista.

I pregi del film sono evidenti e altri hanno li hanno esaustivamente elencati. Inutile riproporli. Il mio cruccio è che non siano abbastanza per fare di questo buon sequel il "Padrino parte seconda" del 21mo secolo, come è stato acrobaticamente preannunciato.   

C’è un problema formale di casting. Troppi personaggi e del tutto inconsistenti.

Erano anni che nel cinema d'azione d'autore non si vedeva un cattivone così monodimensionale, oscenamente privo di sviluppo e spessore – Jared Leto è inetto e il suo ruolo futile.

Bisognerebbe indagare alla maniera di K cos’ha Villeneuve contro le donne per affliggerle in questo Blade Runner con ruoli talmente scadenti.

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Il Razzie dovrebbe essere lanciato per acclamazione alla piattissima Joi di Ana de Armas, ma che ci fa pure Claire Underwood in questo sequel? (e preciso Claire Underwood, non Robin Wright). Recitazione imbarazante, dialoghi oziosi.

Se la cava meglio per forza d’azione Luv/ Sylvia Hoeks ma tutte le possibili sfaccettature che in un personaggio come il suo avrebbero potuto creare tensioni drammatiche esplosive si dissolvono rapidamente (e certo non come lacrime nella pioggia). Sulle repliche stilistiche di Priss e Rachel (non la ricostruzione digitale) preferisco sorvolare. 

 

C’è un problema formale di sceneggiatura. Abbondano citazioni, chissà quanto ricercate, da Citizen Kane a Her (senza scomodare Kafka), ma tanta informazione è assemblata senza vera coerenza, comprime il vigore evocativo della storia che, per contrasto, si sprigiona solo nei momenti più riflessivi e minimali. Della complessa stratificazione delle nuove classi replicanti, quando non si tace, non ci si capisce granché o si sfiora il ridicolo (l’assembramento rivoluzionario ha una resa davvero mediocre). E cadendo nell'infruttuoso esercizio del paragone a tutti i costi, quando arriviamo al climax, non si può tacere che il duello finale subacquatico sia di impietosa pochezza rispetto allo scontro Batty/Deckard. 

 

C’è un problema “filosofico” che non esito a definire uno scivolamento reazionario.
Una delle grandi innovazioni dell’originario Blade Runner era non tanto, o non solo, il suo interrogarsi su cosa fosse realmente umano all’alba della nostra rivoluzione tecnologica, quanto piuttosto aver con violenza e disperazione rifiutato il lato esclusivamente biologico della cosiddetta umanità. BR 2049 riporta tutto alla casella d’inizio restaurando una giustificazione biologica e messianica perché i replicanti possano sentirsi realmente vivi, degni e capaci di sollevarsi. Ancora Il miracolo dell’impossibile concezione nel 2017 / 2049? Really?

Persino Philip Dick, uno che con la messianità ci ha costruito una carriera, già 50 anni fa ci avvertiva sul malinteso.

Eppure il germe di qualcosa di innovativo era lì davanti agli occhi di tutti, orribilmente avvilito come già accennato nell’insulsa Joi. C’è soprattutto una dolorosa frustrazione che ti attanaglia alla visione in BR 2049, per quanto avrebbe potuto e che non ha avuto il coraggio di dis/fare. 

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