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L'Atalante

Regia di Jean Vigo vedi scheda film

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La recensione su L'Atalante

di Aquilant
8 stelle

Jean Vigo, autore morto prematuramente a soli ventinove anni, in questa sua ultima opera ci rende testimoni del suo mondo solcato da fragili affetti e da totalizzanti passioni, da civetterie passeggere e da esacerbanti sfoghi di emozioni a lungo represse, condendo il tutto con un’irrefrenabile voglia di vivere idealmente sottolineata da un sottofondo musicale che ci restituisce i nostalgici odori e sapori dei bistrot parigini. La sua regia è molto attenta alle più tenui sfumature psicologiche, ad una funzionale resa stilistica, ad un’amorosa cura dei dialoghi, ad una perfetta sintesi di contenuto ed eleganza formale, ad un’adeguata connotazione psicologica dei personaggi. Fattori che a volte grazie alla loro calibrata alchimia narrativa possono determinare la trasformazione di un semplice film in un cult e fare in modo che una sequenza estrapolata dal contesto grazie al suo carattere ipnotico divenga un piacevole tormentone notturno per tutti gli anficionados ghezziani e non. Ma vera e propria protagonista della vicenda è da considerare la musica, intesa come sottolineatura di momenti ad alta gradazione poetica da imprimere indissolubilmente nella memoria. Ed ecco fin dall’incipit il suono di un organetto sgangherato che accompagna i protagonisti Jean e Juliette diretti alla volta dell’ Atalante e ci introduce in un mondo che fa presagire piccole gioie quotidiane ma anche sacrifici e contrasti, perché “la barca della vita non é solo divertimento”. E che dire dell’ammaliante controcanto costituito dalle dissonanti armonie di un bandoneon a sottolineare con estrema perfezione nella sublime scena dell’arrivo a Parigi gli sguardi di meraviglia di Juliette al cospetto di un mondo di cui non avrebbe neppure lontanamente immaginato l’esistenza? Per non parlare della sequenza di un ballo che profuma di aromi smarriti da tempo nella nostra memoria, impreziosito da un’architettura di vaghe note saltellanti che sanno di fatica e di sudore di gente avvezza ad annegare nella musica i propri affanni quotidiani. Il regista ricrea una suggestiva atmosfera deliziosamente retro, caratterizzata da un discordante contrasto tra le personalità dei protagonisti, una Juliette (la splendida Dita Parlo) estroversa e gioviale, ricolma di gioia di vivere, idealmente aperta ad accogliere a piene braccia i frutti dell’esistenza, ed un Jean (casuale l’omonimia col nome del regista?) perennemente in preda a tormenti dell’anima, roso dal tarlo della gelosia, in guerra col suo ego e con l’angusto mondo che lo circonda, immerso in un dilemma chiaroscurale di problematica risoluzione. Prevalentemente sostenuto da un sostrato di sequenze basate sul realismo più assoluto, il film paga un piccolo tributo al surrealismo tramite la mitica sequenza subacquea della visione di Juliette in abito da sposa, dall’empatico, rassicurante sorriso, amorevolissimo compagno da sempre delle nostre veglie notturne di fine settimana. E se da un lato si avverte la mancanza di quel “Because the night”, vero e proprio inno nottambulo, dall’altro si resta con la piacevole sensazione di essere riusciti a svelare il mistero di un sorriso altrettanto importante rispetto a quello della Gioconda, ormai indelebilmente impresso nel nostro immaginario collettivo. Mistero peraltro racchiuso nella fatidica frase di Juliette: “Nell’acqua si riesce a vedere la persona che amiamo.”


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