Regia di Alan Schneider, Samuel Beckett vedi scheda film
Un uomo, con il volto mascherato da un fazzoletto, corre a casa. Si spranga in una stanza in cui oscura la finestra e copre con un telo lo specchio alla parete; caccia fuori il cane e il gatto, copre la gabbietta del pappagallo e si siede. Straccia un mucchio di foto del suo passato, ma viene lo stesso assalito da un'irresistibile, inevitabile presenza...
Uno degli ultimi lavori interpretati da Buster Keaton, che sarebbe morto pochi mesi dopo, è questo cortometraggio filosofico-sperimentale diretto da Alan Schneider su sceneggiatura scritta da Samuel Beckett, nientemeno. Schneider veniva dal teatro, Beckett non aveva alcuna esperienza nel cinema; Keaton è quindi l'unico elemento di garanzia (e che garanzia) per il lavoro. Che può senz'altro dirsi riuscito: filosofico nel sottotesto forse fin troppo evidente (non si può mai sfuggire allo sguardo di sè stessi, siamo ciascuno il nostro più accanito persecutore e giudice), sperimentale nella scelta di azzerare il sonoro del film (e nel titolo a esso conferito). Solo una battuta, un "ssst" pronunciato da un personaggio marginale della storia, compone la colonna sonora di Film: per il resto ci imbattiamo in venti lunghissimi, desolanti minuti di totale vuoto audio. Fortunatamente Keaton, eroe e simbolo del cinema muto, sa benissimo cavarsela in maniera eloquente senza alcun tipo di battuta o rumore; ciò non toglie comunque che la scelta risulti eccessivamente drastica e difficilmente giustificabile sul piano logico (il silenzio della coscienza?). Bianco e nero fotografato da Boris Kaufman, altra leggenda della settima arte, già al fianco di Jean Vigo nella sua intera, pur povera di titoli, filmografia e anch'egli ormai giunto a fine carriera. 6/10.
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