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Satantango

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su Satantango

di steno79
10 stelle

VOTO 10/10 Non posso che unirmi al coro di lodi generale: il film di Bela Tarr è davvero una delle opere più potenti ed estreme della fine del millennio; la sua durata di circa sette ore lo rende una visione impegnativa, che personalmente ho dovuto frammentare in quattro momenti diversi, anche se mi rendo conto che la visione ideale sarebbe quella in una sala cinematografica, magari in due serate consecutive.
Un gruppo di miseri contadini vive in una fattoria abbandonata nell'Ungheria degli anni '90; alcuni di loro vorrebbero appropriarsi del denaro ricavato dalla vendita del bestiame per fuggire e costruirsi una nuova vita, ma improvvisamente torna nel villaggio Irimias, un uomo che esercita un notevole carisma sulla comunità e che tutti credevano morto. Insieme al suo assistente rumeno Petrina, Irimias è divenuto un informatore segreto della polizia, e approfitta di un tragico evento riguardante il suicidio di una bambina per manipolare a proprio piacimento i membri della comunità e ottenere i loro risparmi per fondare una nuova azienda agricola che dovrebbe finalmente portare la prosperità...
Dunque, non si può certo negare che vi sia una narrazione, ma la trama non è l'elemento più importante all'interno di una sofisticata mise en scène caratterizzata da lunghi piani-sequenza e da altrettanto lunghi e spesso lenti movimenti di macchina. In questo film molte azioni si svolgono in tempo reale, con un effetto che potrebbe risultare esasperante per una parte del pubblico, ma che in realtà è perfetto per veicolare la sottile disperazione di cui è impregnata la vita dei contadini, imprigionati in un'esistenza senza scopo e senza prospettive (l'espediente stilistico delle azioni in "real time" fa pensare al film "Jeanne Dielman" di Chantal Akerman, dove era utilizzato con modalità analoghe e la narrazione era ancor più esigua, anche se non saprei dire quale dei due film risulti più estremo da questo punto di vista, perchè Satantango dura circa il doppio rispetto al film della Akerman). E' un film costruito su un linguaggio ipnotico, con sequenze lunghissime di passeggiate lungo sentieri fangosi o danze ininterrotte, oppure l'episodio del dottore interpretato dall'attore tedesco Peter Berling (uno dei pochi attori professionisti del film) che spia dalla finestra il comportamento dei vicini ed è costretto anche lui a compiere un lungo percorso sotto la pioggia battente per procurarsi ua bottiglia di whisky. Fra tutti gli episodi, comunque, l'acme emotivo lo si tocca col suicidio della piccola Estike che in precedenza aveva avvelenato il suo gatto, dove Tarr mostra gli effetti de­leteri della precarietà esistenziale provocata dai regimi autoritari anche sull'infanzia abbandonata. La divisione in dodici capitoli e l'utilizzo della voce fuori campo riportano il film alla sua origine letteraria (tratto da un romanzo di László Krasznahorkai), anche se si tratta di un'opera che ha ben poco di letterario, essendo basata sul rigore di un linguaggio che più cinematografico non potrebbe essere. Nel finale mi sarei aspettato uno scioglimento più definito della vicenda, ma, col senno di poi, mi rendo conto che Tarr non cercava sicuramente un finale convenzionale e che il modo in cui ha scelto di concludere il film stimola l'attenzione dello spettatore e la sua possibile interpretazione personale dei fatti narrati.

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