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Assassini nati

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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La recensione su Assassini nati

di FilmTv Rivista
6 stelle

Deflagrante e psichedelico. Ipnotico e compulsivo. Natural Born Killers (ma il titolo italiano è Assassini nati) esaspera alcuni procedimenti dell'ottimo JFK e impone allo spettatore un linguaggio estremo e parossistico. Un girotondo isterico per pistole, fucili e anime in fiamme. Un lampo, uno scatto, una contrazione: la sequenza inaugurale della folle corsa oltre la morte del gelido Mickey e della bellissima Mallory Knox è irresistibile. Sono entrambi nati per uccidere: 52 morti in tre settimane. Sono gli idoli maledetti di una società plasmata dagli ectoplasmi televisivi e dalla pornografia cattolica. Vestiti punk e apparecchio ai denti, Mallory (Juliette Lewis) come in una situation-comedy volgare, è violentata dal padre con la complicità della madre e Mickey (Woody Harrelson, l'innocuo marito di Proposta indecente) come in un horror in bianco e nero, è testimone di altre nefandezze familiari. Dentro il circolo perverso della comunicazione e dell'immagine il regista trascina e danna i suoi protagonisti. Inquadrature rapidissime, sequenze da cinema underground, montaggio di mulinelli percettivi. Sulle finestre, sui soffitti, sugli schermi si riflettono e proliferano schegge di altri film, di notiziari, di documentari. Frankenstein, Scarface, Fuga di mezzanotte, O.J. Simpson, il presunto uxoricida, i fratelli Menendez che hanno sparato ai genitori per incassare l'eredità, Tonya Harding, la perfida pattinatrice, Lorraine Bobbit, l'eviratrice: mostri reali, presunti e immaginari. Nessuno è innocente. Né Wayne Gale (Robert Downey jr.), il reporter della trasmissione "American Maniacs", disposto a uccidere e a morire ammazzato davanti a una telecamera, né il poliziotto Scagnetti (Tom Sizemore), né il direttore del carcere (Tommy Lee Jones). Stone è un tribuno veemente, generoso, ma non è un visionario e non è Stanley Kubrick. Associazioni libere, fratture del ritmo, ingorghi figurativi si susseguono rapidi e martellanti in un delirio pop. La sua macchina da presa, sfrenata, basculante, obliqua e irrequieta, anticipa, registra e amplifica gli stati alterati della coscienza di tutti i personaggi. Codici, messa in scena, colonna sonora (da Puccini a Berg al rap, dall'acid-music a Leonard Cohen, Patti Smith, Peter Gabriel), 35 mm, super8, videotape, animazione, bianco e nero e colore sono frullati a tripla velocità prima del lieto fine sul tramonto allucinatorio di un secolo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 40 del 1994

Autore: Enrico Magrelli

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