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Leatherface

Regia di Alexandre Bustillo, Julien Maury vedi scheda film

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La recensione su Leatherface

di Zagarosh
6 stelle

Forse quello che colpisce maggiormente di questo Leatherface è proprio la assoluta mancanza di ironia. Non c’è nulla di macabramente divertente nel gore messo in scena dai due cineasti francesi ma solo terrore e brutalità senza scampo. È dai primi trenta minuti che si capisce la cattiveria di questi due registi nel descrivere un mondo dove non esiste salvezza o espiazione: nel riformatorio dove sono rinchiusi i ragazzi, ripreso con delle luci intermittenti, non c’è un angolo sicuro e tutti sono pazzi e sadici senza alcuna esclusione. Un ritmo indiavolato ci porta dentro questo luogo di torture fisiche e psicologiche per poi catapultarci nuovamente fuori dopo una rocambolesca sequenza di fuga dove Maury e Bustillo regalano il loro meglio sul piano della tensione e sulla costruzione dell’imminente sensazione di pericolo.

 

Nella seconda metà i ritmi invece si dilatano e Leatherface si trasforma in un road movie che ricorda da vicino La casa del diavolo (senza però la sua potenza sovversiva). Pare proprio di vedere quel Texas senza legge tanto caro a Rob Zombie, dove la polizia preferisce farsi giustizia da sola ed ogni crimine perpetrato è destinato a rimanere impunito. Un luogo in cui è possibile compiere stragi in un locale senza particolari problemi e dove si può morire in una roulotte per poi aspettare diversi mesi prima che il proprio cadavere venga ritrovato.

 

Non c’è un senso in questa violenza ed ogni morte è quasi sempre evitabile. La coppia di giovani registi sa come usare i mezzi cinematografici per rendere ogni sequenza realmente morbosa ed è proprio questa loro bravura il valore aggiunto ad una sceneggiatura altrimenti elementare e poco originale. I commensali della cena nella scena iniziale (che riprende quella ormai storica di Tobe Hooper) sono inquadrati così da vicino che è possibile osservare nel dettaglio i loro denti costantemente digrignati come se fossimo in Giù la testa di Sergio Leone.

 

I due cineasti, ad un certo punto, cominciano persino a giocare con chi guarda, imbastendo un piccolo mistero sulla vera identità del ragazzo che poi diventerà effettivamente il carnefice dalla faccia di cuoio: con piccoli indizi sviano lo spettatore e successivamente eliminano uno ad uno i membri della banda, sino a scoprire il vero protagonista con un meccanismo che ricorda Reazione a catena di Mario Bava.

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