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Vive l'amour

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vive l'amour

di ed wood
8 stelle

Il film che rivelò, vent'anni fa, alle platee internazionali il cinema del taiwanese Tsai, affronta con piglio originale e personale il tema della solitudine metropolitana. Negli stessi anni, si impose anche un altro talento (poi, a mio parere, smarrito) del cinema estremo-orientale, quello dell'hongkonghese Wong Kar-Wai. In comune i due autori avevano, appunto, la tematica. Stilisticamente, invece, si fatica ad immaginare due estetiche più distanti. Tanto Wong era pop, traslucido, allucinato, atmosferico, esaltato dai cromatismi accesi e dai bruschi cut da videoclip, nel tratteggiare la tristezza di lunghe giornate senza compagni, come la fugace, illusoria felicità di sporadici incontri, quanto Tsai adottava uno stile più austero, composto, quasi ieratico, privilegiando campi medi (specialmente in interni borghesi) in cui disperdere, isolare, emarginare i suoi solitari personaggi. In "Vive L'Amour" (titolo antifrastico) ci sono 2 ragazzi (uno figo, l'altro sfigato) e una conturbante e disordinata ragazza. La loro modalità di relazione, che è poi la cifra poetica del film, è quella dela "furtività". Furtiva è l'occupazione, da parte dei due ragazzi, di uno spazio in vendita, al piano di sopra della ragazza. Furtive sono le scopate del "figo" con la ragazza (memorabili entrambe le sequenze di sesso, con il pedinamento a inizio film, troncato sul più bello dal montaggio, come ciliegina sulla torta). Furtivo il bacio dello "sfigato" al "figo" dormiente (altra sequenza da fiato sospeso, per la sagace gestione della suspence a fronte di una mdp sempre immobile). Probabilmente "Vive L'Amour" sta al boom del sud-est asiatico dei primi 90's come "L'eclisse" di Antonioni stava a quello italiano dei primi 60's. Dei mutamenti economici in corso (l'aumento dell'occupazione e, in alcuni casi, del benessere) vengono colti gli effetti sui rapporti interpersonali: ciascuno è preso dal proprio lavoro (particolarmente caustico il fatto che tutti e tre lavorino come "agenti di commercio", una mansione che in teoria dovrebbe favorire la conoscenza di altre persone!) e l'ambiente domestico (un appartamento con tutti i confort) diventa un bunker a più celle, in cui rinchiudersi a "svuotare lo scroto" (in coppia o col fai-da-te, cambia poco), annichilirsi in bagni bollenti, cazzeggiare con cocomeri e altri feticci. Di incontrarsi, dialogare, conoscersi, socializzare, chiacchierare non se ne parla nemmeno: la bocca viene usata più che altro per fumare. Tsai evita ogni soluzione metaforica nel rappresentare lo spazio scenico. Piuttosto comunica la solitudine tramite il taglio ampio dell'inquadratura, il montaggio alternato, il sapiente utilizzo del sonoro fuori campo, e scelte come quella di non mostrare istantaneamente l'interlocutore delle numerose telefonate: inutile dare risalto alle parole, quando queste non contano nulla. Fra l'ironia e la disperazione, impreziosito dalla grottesca ed irresistibile sequenza al negozio di urne cinerarie e chiuso da un finale di puro rigore antonioniano, "Vive L'Amour" supera brillantemente la prova del tempo, dopo un ventennio in cui (nel cinema d'autore asiatico) se ne sono viste di tutti i colori.

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