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Marlowe, il poliziotto privato

Regia di Dick Richards vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Marlowe, il poliziotto privato

di rocky85
7 stelle

“Questa primavera, per la prima volta, mi sono sentito stanco e vecchio”. Los Angeles, anni Quaranta. L’investigatore privato Philip Marlowe non se la passa molto bene. Vive in uno squallido appartamento con pochi soldi ed ha pochi casi di cui occuparsi. La sua unica distrazione è quella di seguire le imprese sportive del mitico Joe Di Maggio. Una sera riceve la visita del gigantesco Moose Malloy (Jack O’Halloran), ex gangster in libertà dopo sei anni di carcere, che gli chiede di ritrovare la sua donna Velma, che non vede e non sente da quando è stato arrestato. Mentre indaga, Marlowe riceve l’incarico da un altro uomo di scortarlo in un luogo in cui avverrà il pagamento del riscatto per la restituzione di un prezioso oggetto rubato. Durante lo scambio, Marlowe viene ferito e l’uomo ucciso. Non è che il primo di una lunga serie di omicidi, i quali faranno capire al detective privato che i due casi di cui si sta occupando sono correlati tra di loro.

Ottava avventura cinematografica per Philip Marlowe, personaggio nato nel 1939 dalla penna di Raymond Chandler e reso immortale dall’indimenticabile Humphrey Bogart de Il grande sonno. Il noir, genere molto frequentato dal cinema americano negli anni Quaranta, aveva perso smalto nel corso degli anni. Negli anni Settanta torna prepotentemente alla ribalta, grazie ad alcuni giovani registi della New Hollywood che ne ripropongono gli schemi per destrutturare il genere dall’interno. L’artefice più illustre di questa nuova riproposizione è Robert Altman, che utilizza proprio il personaggio di Marlowe in chiave ironica e moderna nel capolavoro Il lungo addio. Ma il celebre detective privato è il protagonista anche di questo Marlowe, il poliziotto privato, diretto da un Dick Richards che ne mantiene intatti le caratteristiche fondamentali per metterne in risalto la cupezza e l’amarezza di fondo. Il ruolo viene affidato al 58enne Robert Mitchum, viso e corpo da noir come pochi altri, che si rivela la carta vincente dell’operazione (tornerà nel personaggio tre anni dopo in Marlowe indaga). Mitchum tratteggia un Marlowe più anziano e stanco, che si porta a spasso il suo fisico enorme e pesante e una espressione dolente da eterno sconfitto. Disincantato e cinico come da tradizione, ma stempera la malinconia ed il pessimismo con un tono beffardo e ironico (“Santo cielo, quanto è all’antica!” “Dalla cintola in su!”). Il film, va detto, non è perfettamente riuscito in quanto paga alcuni difetti legati soprattutto ad una trama ingarbugliata e a sviluppi narrativi resi un po’ troppo sbrigativamente. Ma il regista Dick Richards ha il merito di avvolgere il tutto in un clima da incubo quasi irreale, e soprattutto nell’ottima ricostruzione di una Los Angeles cupa e malsana, dove regnano l’avidità e non c’è posto per i sentimenti. “Quel grosso bestione la amava. Se fosse ancora vivo, le perdonerebbe anche le tre pallottole che gli ha cacciato in corpo. Che mondo!”

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