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Dunkirk

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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La recensione su Dunkirk

di M Valdemar
9 stelle

 

locandina

Dunkirk (2017): locandina

 

 

 

Il ticchettio – incessante, implacabile compagno d'armi del reggimento filmico nolaniano – scandisce l'inesorabilità di una narrazione che, rifuggendo esplicitamente dal mero racconto rettilineo, nel solco della tradizione dell'autore di Inception, trova nell'esemplare, ingegnosa sincronizzazione degli elementi tutti (i tre piani temporali, il montaggio, il sonoro, il complesso di movimenti analogici della mdp) la dimensione di un cinema non banalmente unicamente “immersivo”: è una riflessione morale e formale di un tempo e di tempi che rincorrono/alimentano un senso alla guerra. Che non c'è. Il senso. La guerra. Un film di guerra senza l'enfasi empatica delle logiche dei film di guerra, senza nemici – invisibili, sempre oltre e fuori la cortina incendiaria e incendiata dello schermo –, senza sangue né combattimenti a terra, glacialmente svuotato della retorica della vittoria e dello schematismo manicheo delle logiche del conflitto: è il trionfo di una sconfitta celebre – una «colossale disfatta militare» (come sentenzia l'articolo di giornale che il soldato legge sul treno per “casa”) – che il regista elegge mirabilmente a emblema dell'umanissima vocazione alla sopravvivenza. Dunkirk (e non Dunkerque: l'inutile speciosa polemica dei polemici a ogni costo dimentica la prospettiva. Inglese. È Churchill che in pubblico sostiene l'alleanza e in privato difende gli interessi nazionali) è il luogo filmato dei tentativi reiterati e poco “eroici” (ai limiti, anche non di rado superati, di una poco “nobile” vigliaccheria) dei soldati di tornare a scorgere le bianche scogliere di Dover tornando in patria, il luogo firmato dalle tracce da incubo vivido di bombe che piovono dal cielo e missili che emergono dalle limacciose oscurità marine, è il luogo armato di una melodiosa congiunzione filmica ed extra-filmica perfetta (l'evacuazione dal molo e dalla spiaggia, il contributo fondamentale delle imbarcazioni privati proveniente dall'aldilà britannico, l'intervento salvifico del pilota di uno Spitfire rimasto, consapevolmente, a secco) che sancisce, compiutamente, l'assoluta capacità del Cinema di impaginare/immaginare la realtà, di abbracciare – e tentare di – comprendere le storie (la coralità contiene l'individuo, e viceversa). E la Storia. Che i personaggi principali – il comandante e il colonnello sul molo, i due piloti, i tre soldati che cercano la via per allontanarsi dalla maledetta spiaggia, il soldato “vigliacco” interpretato da Cillian Murphy, i piloti della Raf) siano tenuti a una dimensione basica, poco approfondita, così come i dialoghi siano asciugati da ogni verbosità e sentenziosità, è atto voluto e ricercato: la tragedia e gli orrori, le conseguenze e la coscienza della guerra passano attraverso il racconto per/delle/nelle immagini e il loro vivo, violento respiro, scorrono come lacrime inesplose nel maelstrom organizzato della deflagrante sovrapposizione dei livelli temporali, risiedono nella eccezionalità delle riprese – spettacolari e al contempo illuminate d'umana intensità (la visione in 70 mm è d'obbligo: è un altro film proprio) – che decretano la superba percezione sensoriale, si sublimano nell'imperiosità incalzante di un sonoro (effetti-montaggio-sound design da urlo), dominato e rappresentato dal genio di Hans Zimmer (che nessuno sa usare come Nolan), che s'erge a protagonista indiscusso, capace di racchiudere i silenzi che non ci sono (poiché consciamente lasciati nei raccordi nel racconto e nella quiete dei ricordi) nonché di catturare l'anima dell'individuo e quella della infernale, angosciosa catena di accadimenti tra spiaggia, acque e cielo. Forse il ritorno a casa è ammantato di una lieve coltre di retorica patriottica altrimenti assente ma è una goccia comunque funzionale nel mare della sensibilità di uno sguardo autentico inattaccabile (basti pensare a cosa avrebbero inscenato in un tipico blockbuster americano …); ad ogni modo riflesso e pacificato dall'austera serenità e dal silenzio (trasceso nel riadattamento zimmeriano del Nimrod delle Enigma Variations di Edward Elgar) che avvolgono la soave sequenza dell'atterraggio del pilota eroe (cui presta voce e occhi l'ancora una volta meraviglioso Tom Hardy), rimasto con il suo aereo senza carburante, nel mezzo di terre desolate probabilmente circondate da nemici. Una chiusa epica senza epicità, armoniosa e conclusiva, una firma inequivocabile, uno sguardo rivolto in camera che segna la fine. Che non c'è (perché prosegue nelle verità della – e nella – Storia).

 


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