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Tito e gli alieni

Regia di Paola Randi vedi scheda film

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La recensione su Tito e gli alieni

di supadany
7 stelle

Torino Film Festival 35 – Festa Mobile.     

Entrare in contatto con ciò che abita lo spazio profondo, è una delle curiosità per cui milioni di esseri umani sarebbero disposti a giocarsi un ipotetico unico desiderio di fronte al fantomatico genio della lampada. Chissà chi o cosa potremmo incontrare, quali scoperte incredibili potremmo fare: creature impossibili già solo da immaginare o magari qualcosa di ancora più inaspettato, più vicino a noi eppure ancora più afrodisiaco.

A parte ogni possibile ragionamento, ciò che conta davvero alberga nel non gettare alle ortiche i preziosi attimi che abbiamo a un passo o che conquistiamo con tanto sudore e ardore, mentre aneliamo la conquista della velocità della luce.

Da sei anni, il Professore (Valerio Mastandrea) lavora nei pressi dell’Area 51, portando avanti una ricerca che non sembra produrre i risultati auspicati. L’unica presenza quotidiana con cui ha avuto a che fare in questo lungo periodo è Stella (Clémence Poésy), ma adesso che suo fratello (Gianfelice Imparato) è deceduto, deve gestire anche i suoi due piccoli nipoti: l’adolescente Anita (Chiara Stella Riccio) e quel peperino di Tito (Luca Esposito).

Per lui si tratta di un fuori programma destinato a cambiargli la vita e anche la sua ricerca.

 

Valerio Mastandrea

Tito e gli alieni (2017): Valerio Mastandrea

 

Quando il cinema italiano prova a uscire dalla solita manciata di pretesti che lo animano, è sempre una notizia da appuntare sul calendario, tanto più quando - come nel caso di Tito e gli alieni – a fronte di mezzi tutt’altro che ragguardevoli, nasce uno sguardo che, mettendo nel mirino dei riferimenti importanti – la fantascienza anni ottanta e più nello specifico il senso di meraviglia per la scoperta di Steven Spielberg –, acquisisce una sua specifica dimensione.

Il primo pregio di Paola Randi (Into paradiso) è di aprirsi a una visione ampia senza snaturare la sensibilità cui siamo abituati, un’evoluzione sostanziosa che non vuole in alcun modo compromettere l’identità che ci appartiene e che, nel bene e nel male, ci contraddistingue.

La diretta conseguenza è una composizione che incorpora un crossover multiplo: la visione adulta si assembla con lo sguardo dei bambini, il percorso di formazione proposto ha un doppio senso di marcia in un continuo dare e avere, il tipico regionalismo - in questo caso, il dialetto napoletano - incoccia con l’inglese senza forzature improprie dando sfogo a un buon numero di giochi di parole, infine la fantascienza incontra i sentimenti, permettendogli di fare la conoscenza di forme fuori dal comune.

Questi aspetti sono esposti con equilibrio, ma prima ancora facendo emergere un’immaginazione fantasiosa a 360°, con un’ambientazione lunare e tanto pregiato artigianato locale, che permette di creare un’intraprendente intelligenza artificiale con quattro ferri vecchi e poi alcuni trucchi rudimentali, funzionali anche in chiave commedia (ad esempio, attenzione a un divano ribaltabile).

Un dinamismo di questo tipo accende automaticamente la voglia di vedere oltre e anche in questo caso, l’approdo non delude, con tanto di morale annessa: mentre ci rammenta che gli incontri del terzo tipo sono più vicini a noi di quanto siamo disposti a credere, riemerge dal profondo della memoria l’invidia provata dal personaggio di Francois Truffaut nei confronti del collega interpretato da Richard Dreyfuss in Incontri ravvicinati del terzo tipo e la versione offerta da questo piccola e volonterosa giostra cinefila non ha paura alcuna di fornire una sua versione.

 

Valerio Mastandrea, Clémence Poésy

Tito e gli alieni (2017): Valerio Mastandrea, Clémence Poésy

 

Aggiungendo ai valori espressi la presenza stralunata e asincrona di Valerio Mastandrea, perfetto quando deve esprimere un disagio nella collisione con la commedia (vedi La felicità è un sistema complesso), e di contro alcune semplificazioni che filtrano i connotati rendendo ancora più tondeggiante il gusto, Tito e gli alieni decodifica segnali provenienti da lontano per facilitare la comunicazione con chi abbiamo – o avevamo – più vicino, un impasto delicato e radioso che tratta di morte e vita con una spontaneità purissima, ottenendo di contro un’empatia che merita, senza particolari riserve.

Quando non ci si accontenta della statica messa a fuoco e dei luoghi comuni che sembrano non voler morire mai, possono ancora riaffiorare pepite preziose, anche nelle loro naturali, e quasi rassicuranti, imperfezioni.

Agrodolce, parimenti destinato a grandi e piccini.

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