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Rosso Istanbul

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Rosso Istanbul

di marcopolo30
3 stelle

Il cinema di Ferzan Özpetek tocca qui fondo con un film nel quale un cast di fotogenici attori, qualche frase ad effetto e una lunga serie di sofferti silenzi dovrebbe bastare a fare le veci di una storia degna di tal nome e di ricchi sub-plots che brillano qui solo per assenza.

Il cinema di Ferzan Özpetek è arrivato a fine corsa. Fine corsa di una tratta particolarmente breve che, dopo averlo (ed averci) trasportato nei primi anni dal promettente capolinea “Il bagno turco” all'ottimo “La finestra di fronte” passando per il certamente interessante “Le fati ignoranti”, ha semplicemente tirato a campare, viaggiando per pura inerzia attraverso film sempre meno brillanti e sempre più uguali a se stessi. “Rosso Istanbul” è il suo ennesimo progetto che detto in tutta onestà, se fosse rimasto nel cassetto nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Un film a cui manca sostanza, rimpiazzata da personaggi certamente fotogenici sulle cui bocche prendono poi forma però frasi del tipo: “Tu però sei diverso; conosci qualcosa che io cerco da anni ma non trovo” e così procedendo su tale linea per 115 (lunghissimi) minuti. Altra assenza imperdonabile è poi quella di validi sub-plots, di quei piccoli dettagli che ti restano impressi nella memoria e che in ultima analisi fanno la differenza tra una storia ben scritta e una abborracciata e buttata giù tanto per non starsene a spasso. Immancabile poi anche qui la scena del multitudinario incontro a tavola, vero marchio di fabbrica di Özpetek, con verità grandi e piccole sparate fuori dai vari commensali come fossero mentine. Riassumendo, Özpetek si sta inesorabilmente trasformando in uno di quei tanti (troppi) intellettualoidi boriosi, pomposi e muniti di un super-ego gonfiato a elio frutto di anni di riflessioni sulla propria superiore sensibilità, incomprensibile alla volgar plebe e perciò fonte di inenarrabili sofferenze da dover poi necessariamente essere riversate sulla plebe di cui sopra sotto forma di mattone indigesto. Assurdo inoltre che Serra Yilmaz (vera attrice feticcio di Özpetek) si doppi da sola: va bene che parla italiano ma ha un accento straniero fortissimo e nella logica del racconto lei è qui una turca che (nell'originale) parla turco! E nulla può nemmeno Istanbul, città fotogenica come poche e che avrebbe quindi potuto con il suo fascino aiutare a salvare il salvabile, perché Özpetek è talmente preso da se stesso che della città del titolo gliene sbatte davvero poco, mettendo così a segno un vero autogol. Certo le immagini prese come oggetto statico, da mostra fotografica, sono molto belle, ma d'altronde nessuno mette in discussione il senso estetico di Özpetek. E non meno magnetico è lo sguardo della co-protagonista Tuba Büyüküstün, ma bastassero due begli occhi di donna per fare un buon film ecco che saremmo tutti dei cineasti.

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