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La fornaia di Monceau

Regia di Eric Rohmer vedi scheda film

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La recensione su La fornaia di Monceau

di Aquilant
8 stelle

Si presenta in veste alquanto dimessa il primo misconosciuto episodio dei Racconti Morali di Eric Rohmer. Ma non per particolare demerito del regista, il quale anzi riesce a trarre il meglio del meglio dalla sua macchina da presa, una rudimentale 16 mm a molla la cui carica dura al massimo 17 secondi utili (il massimo che può permettersi all’epoca, dopo il flop del pur valido “Segno del leone”). Non ha giovato certamente al successo dal film la sua durata limitata (26 minuti) unitamente agli eccessivi stacchi dovuti al carattere di precarietà del mezzo usato, debitamente mascherati da Rohmer col ricorso ad un estenuante lavoro di rifinitura in fase di montaggio onde assicurare all’assieme un’adeguata scorrevolezza narrativa.
Film prevalentemente incentrato su un gioco di sguardi che va infittendosi sempre più man mano che ci si addentra nella narrazione. I ripetuti primi piani di Jacqueline, la fornaia, che mostrano sfuggenti occhiate d’intesa palpabilmente percettibili, il gioco delle mani intente ad incartare con dolcezza i “sablé”, gli ossessivi andirivieni su e giù per Rue de Lévis del giovane protagonista, la vita cittadina colta nei suoi momenti più palpitanti, la stridente ripetitività delle situazioni connesse all’andamento nervosamente caracollante della vicenda coinvolgono suo malgrado lo spettatore che pian piano viene piacevolmente risucchiato nella singolare atmosfera del film. E proprio a causa degli scarsi mezzi tecnici a disposizione del regista si riscontra in questo primo racconto morale un percorso narrativo dall’andamento tortuoso, zigzagante, nervosamente recitato tramite ostinati ma brevi riff solistici della macchina da presa, contraddistinto nettamente da altre narrazioni rohmeriane più ad ampio respiro, meno sbilanciate sul versante della concitazione ritmica e più distese nelle annotazioni d’ambiente e nella descrizione del rapporto tra la seduttrice di turno ed il suo interlocutore. Perfino l’incessante “stream of consciousness” del narratore (Barbet Schroeder, produttore di tutti i Racconti Morali, doppiato da Bertrand Tavernier) che scandisce puntualmente la consequenzialità temporale, lungi dall’interferire con i momenti più significativi del racconto, contribuisce almeno in parte a far segnare il passo al ritmo serrato dell’azione che pur nella sua ripetitività non concede un attimo di tregua allo spettatore.
Traspare qui maggiormente che in altre opere rohmeriane l’importanza che i francesi attribuiscono all’alimentazione. La premurosa delicatezza e la reiterata ripetitività (mi si perdoni l’espressione tautologica del concetto) con cui vengono inquadrate e coccolate le varie specie di dolci dimostra espressamente l’intenzione del regista di far giocare al cibo un ruolo di comprimario. Secondo il critico Michele Mancini esso diventa addirittura “vero e proprio materiale plastico, collocandosi nei punti cardinali della fabula”. Ed a questo punto non resta che augurare buon appetito ai pochi fortunati che avranno la ventura di reperire il quasi introvabile DVD. Sempre che abbiano voglia di tuffarsi nella lettura di un autore ancora considerato da molti non immune da sintomi di noiosità.







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