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Butch Cassidy

Regia di George Roy Hill vedi scheda film

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La recensione su Butch Cassidy

di BigBillShelly
8 stelle

Butch Cassidy e il piano del capitale

 

Butch Cassidy fa un lavoro particolare. Rapina banche. E nel suo campo è un vero professionista.

Il suo modo di essere un criminale rifugge dai metodi brutali. La sua è una perenne sfida con se stesso. Un continuo affinamento della strategia. I suoi piani elaborati cozzano però contro una variabile intoccabile del sistema: la proprietà privata.

Vive infatti negli Stati Uniti d’America sul finire del diciannovesimo secolo, quando questa parte dell’Occidente, è attraversata da un impetuoso sviluppo economico.

La proprietà privata ha vissuto vicissitudini un po’ diverse da quelle della Vecchia Europa. Un’accumulazione originaria con il suo carico di violenza non si è avuta, o quantomeno il genocidio dei nativi americani con annesso esproprio, data la vastità del territorio in questione, ha assunto un significato diverso dalle enclosures inglesi. Forse un impulso analogo, per certi versi, all’accumulazione originaria è quello fornito dalla tratta degli schiavi africani. Ma sarebbe un discorso troppo lungo e noi dobbiamo tornare a Butch.

Sia quel che sia, una cosa è certa: il lavoro che fa Butch va contro le regole stabilite dall’organizzazione sociale in cui vive.

Ma tutto sommato questo non sembra essere un grosso problema per lui e per i tanti fuorilegge che hanno imperversato sulle strade del West. Si tratta di un rischio che vale la pena correre.

Sundance Kid, un po’ il braccio del sodalizio, segue Butch anche quando a questi viene in mente di diversificare l’attività, visto che il rischio di cui si parlava, sta divenendo troppo alto nel ramo rapine in banca.

L’idea di Butch segue le modifiche produttive dell’economia americana. Anziché andare a colpire i nodi dell’architettura finanziaria del sistema rappresentati dalla banche, sempre più sorvegliati, lui pensa di appropriarsi dell’agognato bottino, intercettando il flusso: i vasi sanguigni del corpulento gigante in fieri che saranno gli Stati Uniti nel successivo secolo, rappresentati in quella congiuntura storica, dalla capillare crescita della strada ferrata e delle scie fumose delle locomotive.

Butch inizia così ad organizzare le prime rapine ai treni, riducendo drasticamente il suo rischio d’impresa. Con una struttura urbanistica in cui le città sono distanti tra loro, i convogli ferroviari vengono assaltati nelle praterie disabitate, nelle propaggini dei deserti, dove l’unica resistenza è fornita da impiegati zelanti rinchiusi in vagoni blindati, ai quali Butch non può che esprimere il proprio disappunto, nel conoscere il magro stipendio in cambio del quale questi rischiano la propria vita, per difendere una proprietà che non appartiene loro. Davvero Butch non si capacita di tanta fedeltà.

I treni sembrano divenuti una mammella inesauribile da cui succhiare i biglietti verdi.

Ma qualcosa sta cambiando e questo il pur attento Butch non riesce a prevederlo.

Il capitalismo americano si avvia verso una fase più matura, dove la parola d’ordine è consolidamento. Consolidamento di strutture sociali vissute nel mutevole scenario della conquista dell’Ovest, della frontiera che raggiunge un punto più avanzato ma anche ignoto, dell’estrema incertezza di un contesto caratterizzato dalla liquidità della violenza.

Bisogna lasciarsi alla spalle le guerre del bestiame, i proventi del traffico di alcol e armi con i nativi ribelli, le creste sugli approvvigionamenti delle riserve, perché questi non rappresentano più la forma adeguata per la fase in corso.

Il capitale americano ha bisogno di certezze, quelle che poi si ossificheranno nel sistema fordista di sfruttamento.

Butch diviene allora qualcosa da eliminare: una variabile non controllata che può nuocere non tanto per il danno economico capace di causare a compagnie sempre più titaniche, figuriamoci.

Ma proprio perché non permette la formazione di quel quadro di certezze che è l’unico in grado di rendere positive quelle che Keynes chiamerà con termine di taglio psicologico, le aspettative, e che assumeranno nel suo schema teorico, una rilevanza per certi versi maggiore di quella del tasso di interesse, nel determinare la dinamica degli investimenti.

Ecco, per il capitale Butch è un rimasuglio della storia, pateticamente romantico, che va cassato perché rende incerte le aspettative circa il profitto, è questo è davvero inaccettabile.

Nella sua logica economica bidimensionale, Butch vede ma non comprende le misure di sicurezza sempre più perfezionate che gli si ergono contro. I migliori cacciatori di uomini assoldati per dargli una caccia che avrà termine solo con la sua eliminazione.

Ciò comporta un impiego di risorse finanziarie ben più cospicuo della perdita causata dalle sue azioni criminali.

“Ma gli costa il doppio di quello che gli abbiamo rubato!”, dice Butch con le sembianze di un Paul Newman in stato di grazia.

E ancora, rivolto a Sundance, un altrettanto grande Robert Redford: “Pensa se noi facessimo dei colpi che costano più di quello che rendono”, per finire con un “Se quei soldi li avesse (Harriman il proprietario della Union Pacific) dati a me dicendomi di piantarla, io l’avrei piantata!”.

Butch e Sundance vivono al di qua del piano del capitale. Figure crepuscolari, costretti ad abbandonare la terra natia, possono opporsi solo decidendo in piena autonomia la loro fine.

In fondo nessuno li ha stanati. E possono scegliere liberamente di ripagare l’incomprensibilità del mondo in fieri che li circonda, ponendo la loro unità, da percorrere fino alle estreme conseguenze, come valore superiore a qualsiasi calcolo egoistico, che sia quello di un bandito o di un tycoon intento a contare il suo ennesimo milione di dollari.

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