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Il corvo

Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Il corvo

di Utente rimosso (SillyWalter)
10 stelle

« Moi l’œil de tigre, je ne crains rien. Ni dieu, ni le diable, ni les hommes... Je suis le Lucifer de Tulle. » ( Io, l'occhio di tigre, non temo niente. Nè dio, nè il diavolo, nè gli uomini...Io sono il Lucifero di Tulle. ) Dalle lettere anonime del caso di cronaca che ispirò il film (*).

 

        IL CORVO è un nerissimo capolavoro d'ingegno e ingegneria, un'opera di fascino e di precisione a cui raramente è stata dedicata la giusta attenzione. Concepita e depositata da Louis Chavanche, la sceneggiatura de IL CORVO fu poi adattata dallo stesso insieme al regista Henri-Georges Clouzot. Del poco citato Chavanche vale la pena ricordare che iniziò come critico cinematografico e scrittore di romanzi polizieschi. Nel cinema fu soprattutto sceneggiatore (per Jacques Becker, André Cayatte, Marcel Carné, Christian-Jaque etc.) ma nel 1934 curò il montaggio (e pare abbia contribuito anche alla sceneggiatura) nientemeno che de L'ATALANTE di Jean Vigo. 

 

 

        TRAMA. La piccola città di St. Robin viene di colpo investita da una venefica ondata di lettere anonime a firma "le corbeau" (il corvo). Primo e precipuo bersaglio è il dottor Germain (Pierre Fresnay), accusato di praticare aborti e di avere una relazione con Laura (Micheline Francey), giovane moglie dell'attempato psichiatra Vorzet (Pierre Larquey). Dopo di lui tocca però a quasi tutti gli abitanti di St. Robin ricevere accuse infamanti o vedere esposti i più inconfessabili segreti. La paranoia e le maldicenze dilagano e si tingono in seguito d'isteria vendicativa quando una lettera porta al suicidio un malato di cancro rivelandogli la gravità delle sue condizioni. In uno scenario in cui vizi e sospetti germogliano senza sosta Germain e Vorzet uniscono le loro menti per cercare di svelare chi si nasconde dietro la spregevole firma. 

 

      FILM-SCANDALO. Prodotto dalla compagnia tedesca "Continental" nella Francia occupata, IL CORVO uscì al cinema il 28 settembre 1943. Ottenne subito un gran successo di pubblico e raccolse il plauso della critica progressista ma ricevette anche accuse di immoralità e perversione da parte della destra e dai cattolici. Il film venne poi ritirato dalle sale dopo solo tre settimane perché il governo di Vichy riteneva che scoraggiasse delatori e collaborazionisti. Dopo la liberazione si infiammò il dibattito a sinistra tra epuratori e sostenitori di Clouzot e del film (tra questi ultimi anche Sartre, Prevert e R. Clair, J. Becker). L'accusa era di aver dato un'immagine avvilente dei francesi per volere degli occupanti tedeschi. Il "Comitato di liberazione del cinema francese" decise per l'allontanamento di Clouzot dai set, inizialmente a vita, alla fine per circa due anni. Andò anche peggio ai protagonisti del film Pierre Fresnay e Ginette Leclerc, che furono incarcerati per un breve periodo. 

 

Pierre Fresnay, Pierre Larquey

Il corvo (1943): Pierre Fresnay, Pierre Larquey

 

        LA RONDE NOIRE. La scena iniziale non è una semplice panoramica d'introduzione. Uno sguardo dall'alto scorre sulla città di St. Robin, individua il cimitero e si ferma. Controcampo e ci ritroviamo dentro al cimitero. Lapidi, portici, ci avviciniamo all'uscita. Qui il cancello si apre cigolando davanti ai nostri occhi che poi si posano sul campanile della chiesa. L'accompagnamento musicale nel cimitero è passato da gioviale a circospetto e misterioso. Chiaramente ci viene suggerito che il cancello è stato aperto da qualcuno o "qualcosa". Può essere un azzardo dedurre che sia qualcosa calato dall'alto, ma anche considerando il film nel suo complesso viene naturale ipotizzarlo. IL CORVO è infatti sapientemente costruito come una staffetta, un moto quasi perpetuo, un circolo (vizioso) di azioni, voci e intromissioni. Il seguito ce ne dà una prova esemplare. 

       Il dottor Germain ci viene presentato con le mani sporche di sangue per aver provocato un aborto preferendo salvare la madre in pericolo di vita. Mentre Germain dalla campagna torna in auto verso l'ospedale di St. Robin, viene introdotto l'ambiente dove lavora. Vediamo l'infermiera suor Marie trattare male un paziente sofferente. Poi la suora lascia il posto a Laura (l'assistente sociale moglie di Vorzet) con cui l'uomo si lamenta dei modi di Marie scoprendo che sono sorelle e alla quale chiede di poter cambiare letto perché ha lo iellato numero 13. Laura se ne va e subentra la madre del paziente. Gli ha portato il suo rasoio (zoomata sul rasoio...). Laura raggiunge la sorella e le chiede perché è così dura coi malati. Per tutta risposta Marie le domanda perché lei è così carina col dottor Germain. In quella rientra Germain e Marie lo saluta freddamente. Seguiamo Germain e questo incrocia un collega che fa un commento sul suo avere l'aborto facile. Ai due bisticcianti si aggiunge il primario dell'ospedale che li invita a vedere lo spettacolo di una cancrena con tibia sporgente ("sembra uno scherzo"). Germain elude l'invito, si avvia all'uscita e s'imbatte nuovamente in suor Marie... etc. etc. 

       Gli effetti di questa "staffetta" sono molteplici. Innanzitutto convoglia una gran quantità di informazioni con estrema fluidità. In un unico giro ci vengono presentati diversi personaggi fondamentali e riceviamo un imprinting della coralità della storia e dei suoi toni neri: abbiamo un abortista, una suora crudele e impicciona, un'adultera, un primario sbevazzone e cinico. Senza considerare le suggestioni in secondo piano: le mani insanguinate, il 13 menagramo e il rasoio. La prima lettera non è ancora comparsa ma vizio e minaccia sono già emersi. 

       In secondo luogo questo movimento continuo funge da rappresentazione visiva, chiara e percepibile del vortice di pettegolezzi e malignità e dell'agitazione dell'intera comunità. E sottolineo "percepibile". Perché non si tratta di un superfluo vezzo simbolico, a ben vedere di questo movimento ce n'è bisogno. Difatti Clouzot e Chavanche lavorano con del materiale che si direbbe quasi statico, inadatto a costruire suspense ed eccitazione: persone che ricevono e si raccontano lettere, nessuna sequenza "d'azione" o di minaccia fisica (c'è giusto suor Marie che corre da sola inseguita da voci...), un solo morto (per giunta suicida) e un nemico invisibile che ha come uniche armi carta e penna. Eppure sentiamo veramente la città e il pericolo ribollire e non avvertiamo alcuna pausa o appesantimento dovuto al prevalere della parola sull'azione. Questo perché, in definitiva, il personaggio del Corvo è solo una miccia, un mandante, un "tentatore". Da quel primo giro in ospedale appare chiaro che "il male" è già negli abitanti di St. Robin e viene solo evocato, sono loro gli agenti sul campo, i complici involontari che con la loro "ronde" diffondono la malattia fino a farne una minaccia tangibile e incontrollabile.

 

        

 

        Finalizzato alla percezione della suspense e del subbuglio della cittadina da parte dello spettatore c'è un accorgimento anche più mirato. Pare che in questa staffetta il dottor Germain abbia un ruolo completamente diverso dagli altri. Dopo la succitata scena Germain esce dall'ospedale e viene intercettato dal maestro che lo manda a visitare sua sorella Denise. È da Denise quando arriva Laura a interromperli. Poi va nel suo appartamento e viene spiato dal buco della serratura da Rolande, la figlia del maestro. È in posta e Vorzet lo sorprende sottraendogli una lettera che sta per imbucare. I due poi sono interrotti da suor Marie. Più avanti è per strada e viene fermato da Laura uscita dalla penombra, poi entrambi si fanno da parte per non farsi vedere da Marie in arrivo. Dopodiché Germain si vede in chiesa con Laura e lì Denise li sorprende prima che tutti e tre siano interrotti da Marie. 

       Come si vede il dottor Germain non ha un attimo di pace, viene continuamente disturbato, sviato, colto di sorpresa, controllato nonché accusato. Ed è una modalità che prosegue fino alla fine salvo che, significativamente, a un certo punto comincerà anche lui a interrompere, irrompere e prendere alla sprovvista. Ma Germain in questo mondo è la guida dello spettatore (eroe è dir troppo...) quindi noi siamo nell'occhio del ciclone insieme a lui e ci abituiamo ad attendere sorprese ad ogni angolo (e con l'attesa si cucinano sia la suspense che la paranoia...). Siamo nella posizione migliore per avvertire (e condividere) i suoi fastidi, per sentir crescere l'agitazione e l'isteria della gente e sentire voci e sospetti rincorrersi. A ciò si aggiunga che Germain è stato costruito per essere un termometro sensibilissimo: intransigente, suscettibile e scontroso, porta un fuoco alimentato da passate vicende, cerca pace e tranquillità ma ha scelto il posto sbagliato nel momento sbagliato. Nessuno meglio di lui può restituirci le fluttuazioni più minute del clima di St. Robin. 

 

 

 

       NERO COLLETTIVO. Si è scritto parecchio riguardo alla cupezza di questa "petite ville", secondo alcuni eccessiva o al limite giustificabile per via simbolica come possibile riflesso dell'occupazione nazista della Francia, dell'inutilità di fede e ragione, o anche dell'odio per l'ipocrisia quando non addirittura della misantropia di Clouzot. Riflessioni lecite e inevitabili visto il periodo in cui il film uscì e le polemiche feroci che scatenò, ma le ragioni della drammaturgia (per una sceneggiatura inoltre terminata da Chavanche prima della guerra, nel '37, e ispirata a un fatto realmente accaduto) mi pare siano state in tal modo completamente sorvolate. Che ne sarebbe stato di quel senso di minaccia pervasivo e sovrannaturale (se ne riparlerà...) o della rappresentazione dell'isteria collettiva, o del discorso sulla coesistenza di bene e male nell'essere umano senza il coinvolgimento del lato oscuro di un tal numero di insospettabili cittadini? Con una quota ragionevole di nero l'attenzione sarebbe stata tutta per un'indagine simil-poliziesca senza rischi, azione e tensione. L'isteria non sarebbe diventata collettiva e i "buoni integrali" avrebbero abbassato ulteriormente il tasso di pericolo e reso il discorso sul bene e il male uno specioso vaniloquio di un singolo, poco inquietante perché senza riscontro nei fatti filmati. Questo nero collettivo è a tutti gli effetti la vera idea portante che dà corpo alla minaccia, è il cuore che fa funzionare tutto come un unico organismo e dà all'inquietante filosofia del Corvo un'ampiezza e una forza d'impatto uniche. Ed è anche ciò che ci trasmette la paranoica sensazione di essere circondati, perché in fondo vediamo "il male" nascondersi ovunque. Quali che siano le origini e i significati nascosti di una visione così cupa l'unica cosa certa è che strutturalmente tiene su il film. Ridimensionarla equivarrebbe a uccidere il film o, peggio ancora, a renderlo mediocre.

 

Ginette Leclerc, Pierre Fresnay

Il corvo (1943): Ginette Leclerc, Pierre Fresnay

 

       LA PROCESSIONE FUNEBRE  E LA FUGA DI SUOR MARIE. A inizio processione c'è una fugace inquadratura da dentro il carro funebre, dietro una corona di fiori, poi una lettera spunta sotto la corona e cade in strada aprendo in due il mare di folla che segue il feretro. La gente è sconcertata e spaventata ma quando qualcuno raccoglierà la missiva poi tutti vorranno leggerla e crederanno a ciò che dice (un dato curioso in questo segmento è anche che il corteo si svolge in una St. Robin vestita a festa - l'annuale festa del paese - e che di conseguenza la città risulta ambigua e "doppia" proprio come i suoi abitanti). A un breve alterco al cimitero durante la funzione fa seguito un'inquadratura della folla che il giorno dopo cerca suor Marie (Helena Manson) ai cancelli dell'ospedale e poi arriviamo alla sequenza della fuga dal linciaggio, con la suora terrorizzata che corre per strade deserte tra inquadrature sghembe e saliscendi destabilizzanti, inseguita solo da un tumulto di voci. Arrivata a casa la trova messa a soqquadro, il vociare in strada cresce e qualcosa tirato da fuori rompe un vetro (ma la folla anche qui non viene mostrata). Marie fa per uscire e sul pianerottolo trova la polizia che l'arresta.

 

 

        La scena della fuga è preparata e concertata in maniera davvero splendida. Prima ci viene data la folla in carne ed ossa nel momento in cui nascono e crescono paura, disordine e rabbia, poi vengono tolti di mezzo i corpi e usate solo le voci. Questo porta lo spettatore a concentrarsi sul volto e i modi terrorizzati della suora e sull'inquietante città deserta ed assolata, con negli occhi però ancora l'eco visiva della gente adirata nelle scene precedenti: una specie di visione stereoscopica diacronica, che riesce ad unire le atmosfere di due sequenze consecutive senza sacrificare i particolari al caotico tumulto della folla. Oltretutto, nonostante nessuno certo dubiti che suor Marie sia veramente inseguita, la scena così composta, con una minaccia anonima e invisibile quanto quella delle lettere, diventa anche la più perfetta rappresentazione della paranoia e dell'isteria che hanno preso d'assedio la città. 

 

 

        Altro aspetto interessante è che durante la processione la lettera diventa direttamente protagonista mostrandosi quasi animata da un potere soprannaturale. Quando la lettera entra in scena ci viene mostrata una soggettiva dal suo punto di vista che dà quasi l'impressione che sia questa ad avanzare fendendo il corteo funebre. Non è l'unico episodio in cui una lettera sembra "prender vita". Dopo l'arresto di suor Marie, quando in chiesa il prete invita i fedeli a ringraziare il Signore per aver liberato la città da quel flagello ("... i vostri cuori si elevino verso il cuore di Gesù..."), ecco che dall'alto scende "un segno" derisorio e provocatorio sotto forma di missiva volteggiante. È il caso di ricordare che quando all'inizio quel "qualcosa" (di sovrannaturale) è calato sul cimitero poi ha posato il suo sguardo sul campanile: anche lì la chiesa sembra presa di mira. È impossibile non pensare ad un attacco alle istituzioni religiose e all'ipocrisia dei fedeli da parte degli autori (con ovvio riferimento al collaborazionismo degli anni della guerra). Gli indizi sono anche altrove: un'intera città di individui dalla doppia morale che però riempiono la chiesa e partecipano alle funzioni (spettegolando e litigando durante un funerale), ma anche l'odiosa suor Marie completamente priva di carità cristiana, per non parlare dei due protagonisti principali: Germain, dichiaratamente ateo (e abortista all'occorrenza) e Vorzet, che con la sua indecifrabile ironia sostiene di andare a messa non perché credente ma perché "prudente" ("Nel dubbio, mi faccio un'assicurazione. Costa così poco"). 

  

 

!! ATTENZIONE SPOILER !! 

 

       Gli elementi "soprannaturali" succitati, oltre a dare una dimensione visivamente più evocativa al grado di inquietudine e isteria che agita gli abitanti di St. Robin, tengono viva un'atmosfera sinistra e luciferina che poi ritroveremo appieno nell'identità rivelata del Corvo e in quell'ultima enigmatica lettera che parla di "maledizione tolta". Il dottor Vorzet è un criminale dal fascino e dall'intelligenza diabolica, un "villain" di una modernità incredibile come non se n'erano mai visti prima sul grande schermo (con buona pace del Dottor Mabuse). Quel che più colpisce è che paradossalmente è lui la vera anima razionale della storia: partecipa alla caccia, sciorina ironie e commenti che sembrano più arguti e saggi che (come poi si riveleranno) cinici e sofistici, propone ipotesi e analisi della mente criminale che talvolta illuminano e talvolta sviano. Si diverte, insomma, a giocare al gatto col topo. 

 

       Vorzet: "Quelli (la polizia) cercano un colpevole con un movente logico. È un'idiozia. Chi scrive lettere anonime obbedisce a dei motivi molto più misteriosi (...) In tutti i casi che ho studiato il colpevole aveva sempre la stessa tara psicologica, erano più o meno tutti dei pervertiti sessuali. "

Germain: "Vecchie signore" 

Vorzet: "Spesso. Gente come mia cognata. Oppure vedove, maschi impotenti, vecchi disgraziati. Degli infermi. Un'infermità, anche se nascosta, spesso lascia una ferita segreta che può infettarsi."

 

       Vorzet a Germain: "Io lo vedo (un malvagio) tutte le mattine nello specchio, assieme ad un angelo. Lei è formidabile, lei crede che le persone siano solo buone o solo cattive, crede che il bene sia la luce e che l'ombra sia il male." 

 

        La colpevolezza di Vorzet risulterà sorprendente (e non si può neanche immaginare quanto debba esserlo stato per uno spettatore degli anni '40), e non solo sorprendente ma beffarda in quanto è soprattutto sulla sua ragione e sulla sua saggezza che facevamo affidamento. Dopo aver visto demolita la nostra bussola morale, ormai da buttare visto che il male si annida in ogni corpo, ci viene tolto anche il salvagente dell'intelletto rappresentanto da Vorzet. Risulterà invece vittoriosa la figura imperfetta ma non ipocrita di Germain, presunto abortista, scontroso, ateo, frequentatore di donne sposate e "donnacce" (caratteristiche piuttosto indigeste per la morale comune del '43), ma in fondo l'unico a dimostrare integrità di fronte alla marea di nefandezze e all'isteria accusatoria (e capace comunque, lungo il percorso, di riscoprire il valore dell'affetto e la speranza nel futuro sotto forma di figlio in arrivo). 

       Ma quali sono i motivi molto più misteriosi che hanno fatto di Vorzet il Corvo ? Fortunatamente (e saggiamente) rimangono abbastanza misteriosi e grazie anche a questo Vorzet non verrà "ridimensionato" dalla sconfitta e resterà enigmatico e inquietante ad aleggiare sulla storia. Ci vengono infatti risparmiate confessioni e spiegazioni finali e non lo vediamo messo all'angolo. Sarà invece ucciso fuori scena da una figura anch'essa molto suggestiva, una specie di angelo nero della vendetta. Quel che più assomiglia a una certezza riguardo a Vorzet sono le parole di sua moglie Laura quando alla fine, sentendo che il marito le sta addossando tutta la colpa, contrattacca rivelando a Germain che è vero, è stata lei a scrivere la prima lettera, ma le altre le ha concepite e gliele ha dettate lui (aggiungendo : "È lui il folle...guardate come gongola"). Restiamo dunque con un ventaglio di ipotetiche motivazioni nessuna delle quali prevale sulle altre: una tara psicologica (forse dovuta all'impotenza da lui stesso beffardamente ventilata); una ripicca nei confronti della moglie trasformatasi in un gioco sadico; il gusto di svelare il perbenismo ipocrita, sia religioso che non, dei suoi concittadini; oppure un cinico esperimento (un po' da "superuomo nazista"...) volto a provare una tesi sull'ambivalenza dell'animo umano, e in questi termini anche una sfida al più intransigente dei suoi concittadini, Germain, che Vorzet sembra continuamente coinvolgere con inesausto piacere nei ragionamenti che possono svelare la sua identità di Corvo. 

 

       Vorzet a Germain: "Da quando sulla città infuria una tempesta di odio e delazione tutti i valori morali sono stati corrotti. Anche lei è stato contagiato come gli altri e finirà per cadere. Non dico che strangolerà la sua amante, no... ma frugherebbe tra le mie carte se le lasciassi qui, e andrebbe a letto con Rolande (ragazzina di 14 anni) se lei l'amasse."

 

       Questa indeterminatezza va tutta a favore del suo cupo fascino. I moventi rimangono in ballo e gli restano addosso come armi di uno sfuggente e multiforme genio del male. L'aspetto diabolico poi, sempre in qualche modo implicito in un antagonista estremamente intelligente e colto intenzionato a sfidare la morale comune, viene accresciuto come si diceva sia dagli elementi soprannaturali (tra cui l'irridente lettera che "dissacra" la chiesa), sia dal suo essere a tutti gli effetti un "tentatore" che agevola la diffusione di vizio e corruzione nel fertile terreno umano e sia, infine, da quell'ultima lettera su cui viene trovato il suo cadavere: "La colpevole Laura è punita, la maledizione è tolta". Un messaggio che a dire il vero appare incomprensibile e spiazzante ai fini di una ricostruzione logica degli eventi. Che senso ha far ricadere tutta la colpa sulla moglie e poi subito diffondere una lettera che o la scagionerà o più probabilmente inguaierà lo stesso Vorzet insieme a lei? Certo si può sempre pensare che sia il frutto della compulsione di un maniaco anonimografo incapace di resistere alla tentazione di colpire ancora i suoi concittadini proprio nel momento in cui pensano di potersi rilassare. Ma ovviamente se prima non si è voluto definire un movente non c'è ragione di credere che qui si celi una logica stringente e chiarificatrice. È forse più giusto, interessante e semplice prendere quelle parole per ciò che danno "a pelle" e nel complesso, ossia un finale oscuro e suggestivo. Un finale che in quell'accenno a una maledizione si ricollega all'elemento soprannaturale introdotto con la discesa di "qualcosa" su St. Robin e sviluppatosi attraverso un contagio che sa veramente di maledizione per come ha cosparso di nero-pece cuori e menti di un'intera città con la sola arma della parola. E non è un caso, direi, che naturale e soprannaturale (e delazione e superstizione) convivano anche e prima di tutto proprio nella parola maledire. 

 

 

 

(*)      L'AFFAIRE DE TULLE. All'origine del film e della sceneggiatura c'è un noto fatto di cronaca. Tra il 1917 e il 1922 ben 110 lettere anonime o firmate "l'occhio di tigre" aggrediscono la piccola città di Tulle. L'autrice è Angèle Laval, 31 anni, contabile della prefettura. Invaghitasi di un suo superiore (che le preferisce però una stenodattilografa ventiduenne) Angèle comincia col mandargli una lettera in cui gli viene intimato di "non sposare Angèle" perché lo renderà infelice. Invia poi altre missive di copertura a se stessa che l'avvertono di non fidarsi di costui, definendolo "mascalzone e bugiardo". Dopodiché le ingiurie si moltiplicano e si riversano su tutta la città rivelando meschinità, tradimenti, vigliaccherie e deridendo infermi, cornuti e viziosi di ogni genere. Nel 1921 un cancelliere della prefettura, dopo aver ricevuto una lettera anonima che gli fa credere che la moglie sia in realtà "l'occhio di tigre", perde il senno e si suicida. Il caso attira così la stampa nazionale, compresa quella scandalistica, e diventa "l'affaire de Tulle". Angèle Laval viene infine individuata e incriminata grazie all'aiuto di un esperto grafologo. In attesa del processo tenta di suicidarsi insieme alla madre gettandosi in uno stagno, ma a morire sarà solo la madre. La sentenza la giudica colpevole di diffamazione e ingiurie pubbliche e la condanna a un "misero" mese di prigione e a 200 franchi di risarcimento per ciascuna delle parti civili. 

       Il titolo del film fu suggerito a Clouzot proprio da un articolo di quel periodo del giornale "Le Matin" che descriveva la Laval al processo come "un povero uccello che ha ripiegato le ali". L'influenza del film e del suo scandalo furono tali che ancor oggi "corvo" in francese è sinonimo di "autore di lettere anonime". 

       L'affare di Tulle ispirò anche un'opera teatrale di Jean Cocteau, "La machine à ecrire", messa in scena nel 1941 e parimenti odiata dalla stampa collaborazionista. 

  

 

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