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Django

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Django

di munnyedwards
8 stelle

A volte basta un incipit di grande potenza evocativa per creare un personaggio che resta nell’immaginario non solo degli amanti del western (o degli spaghetti-western) ma del cinema in generale.

I titoli di testa di Django sono semplicemente grandiosi, un uomo vestito di nero e ripreso di spalle avanza senza cavallo con la sella in spalla, si trascina dietro una bara e non si capisce bene se sia un discendente del mitico Conte Orlok (Nosferatu) o semplicemente un pazzo che deve scontare qualche penitenza, in pochi minuti e con in sottofondo la musica di Luis Enrìquez Bacalov e la voce di Rocky Roberts è come se ci venisse presentato tutto il film, essenziale, diretto, decisamente efficace.

Un film sporco, violento, sadico e crudele, fatto di pistoleri che cercano vendetta e ricchezza, di puttane in fuga da un nulla senza speranza, frustate come animali o usate e poi gettate via, un mondo rappresentato da una ghost town invasa dal fango, che come un fluido putrido e malefico ha contaminato l’anima di tutti i presenti, che siano razzisti incappucciati di rosso guidati da un certo Jackson (Eduardo Fajardo) o messicani rivoluzionari che vivono al confine come banditi agli ordini del Generale Hugo Rodrìguez (Josè Bòdalo).

E’ in questo microcosmo infernale, un universo marcito e decomposto, è proprio in questo luogo di morte che si presenta Django (Franco Nero), gunman infallibile dal passato oscuro e dal futuro macchiato di rosso sangue, salva la bella prostituta Maria (Loredana Nusciak, al secolo Loredana Cappelletti) dagli sgherri di Jackson e si stabilisce con la sua bara nella locanda del povero diavolo Nataniele (Angel Alvarez), in attesa di compiere la sua vendetta, di tagliare la testa del serpente facendo sgorgare più sangue possibile.

 

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Per un pugno di dollari esce nel ’64 e da quel momento in poi il western in italia non sarà più lo stesso, clamoroso successo di pubblico il film genera un movimento produttivo incontrollato e assai fecondo, l’esaltazione di un western povero di mezzi, iperviolento e lontano dai classicismi americani, registi di tutti i tipi si lanciarono sul genere come bandidos in cerca di un tesoro sepolto, l’obiettivo naturale era quello di ripetere il successo commerciale del film di Sergio Leone ma nessuno di questi aveva il suo talento, i più bravi si avvicinarono molto a quel prototipo vincente ma altri rimasero lontani anni luce.

Sergio Corbucci si merita un posto di primo piano in questo nascente universo made in italy, fu tra quelli che meglio riuscì a interpretare e riproporre lo spirito dello spaghetto Leoniano, tanto da diventare uno dei maggiori esponenti del genere, nel giro di pochi anni gira diversi film appartenenti al filone (Massacro al grande canyon, Minnesota Clay, Navajo Joe [con Burt Reynolds], Johnny Oro) ma è senza dubbio con Django che centra il bersaglio grosso, la pellicola esce nel ‘66 e a ben vedere non è altro che una variante di Per un pugno di dollari, una riproposizioni molto più violenta e spietata del primo film della trilogia del dollaro.

 

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A cominciare dal personaggio di Django, una figura che chiaramente rimanda al solitario pistolero interpretato da Eastwood, come nel film di Leone anche qui c’è un paese isolato vessato da una lotta intestina tra due fazioni nemiche, una donna da salvare e giustizia da portare a forza di tradimenti, ambiguità e morti ammazzati.

Certo è subito chiaro che la visione di Corbucci è molto più cruda e viscerale (lo sarà ancora di più nel successivo Il grande Silenzio), la moralità di Django è praticamente inesistente, il suo obiettivo è la vendetta ma in ballo c’è anche una sacca d’oro da portare via ai soldati messicani, è l’intero contesto narrativo ad essere diverso, evidenziando una dimensione molto più cupa (quasi mortuaria) e dei personaggi che sono la quintessenza del male.

Corbucci estremizza la violenza ma la contiene dentro un impianto estetico che funziona alla grande, Jackson che si diverte sparando ai poveri messicani in fuga, Rodriguez che taglia un orecchio ad un uomo di Jackson prima di freddarlo senza pietà, le frustate alla povera Maria che aprono il film e poi Django con la sua bara e l’esplosione di morte che scatena.

Il film fu un grande successo sia in Italia che all’estero, Franco Nero divenne una star (tanto da essere chiamato da John Huston per La Bibbia e da Jousha Logan per Camelot), l’attore tornò poi a lavorare con Corbucci partecipando ad altri spaghetti-western dalla discreta/ottima riuscita, ma il successo di Django resta un unicum irrepetibile.

Il film ebbe una serie infinita di seguiti apocrifi, molti pensarono bastasse inserire il nome di Django nel titolo per avere successo, l’unico sequel ufficiale lo si deve a Nello Rossati (Django 2 - Il grande ritorno) il film esce addirittura nel 1987, decisamente fuori tempo massimo per avere successo, il genere si era ormai da tempo avviato verso un naturale tramonto.

 

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Sarà il buon Quentin Tarantino a dare nuovo lustro e visibilità alla pellicola di Corbucci, l’uscita del suo Django Unchained  è un sentito omaggio al film italiano, richiamato da diverse citazioni e dal cameo di un redivivo Franco Nero.

Nonostante una esposizione violenta e pessimista, una figura di antieroe con piu ombre che luci in Django è tuttavia ancora presente un briciolo di speranza, che viene espressa in un atto conclusivo tutto sommato buonista e giustizialista, per certi versi, considerando la similitudine di alcune sequenze, possiamo dire che Django è la versione vincente di Silenzio, il pistolero muto interpretato da Trintignant che invece andava inconto ad un finale (contestato dai produttori ma di grande fascino) decisamente meno consolatorio.

Voto: 8

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