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I soliti ignoti

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su I soliti ignoti

di silviasissi
10 stelle

Sarò banale, ma mi piacciono solo i migliori, e qui ci sono quasi tutti i migliori del cinema italiano dell’epoca d’oro: a cominciare dal regista (Monicelli) e dagli sceneggiatori(Age, Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico), agli attori (Gassmann, Totò, Mastroianni); senza dimenticare la bella fotografia (Gianni di Venanzio)  e le musiche (il pezzo jazz che fa da leitmotiv è di Piero Umiliani). Tutto perfettamente  congegnato per un film che non sbaglia una virgola, una pietra miliare del cinema nostrano, capostipite della gloriosa commedia all’italiana del dopoguerra.

Monicelli ha avuto dalla sua anche la fortuna di lavorare con un cast di ALL STARS:  Gassmann, grande attore teatrale, istrione shakespeariano, grazie al personaggio di Peppe riesce a dimostrare l’esplosiva espressività della sua arte (coadiuvato da un trucco molto particolare con attaccatura dei capelli abbassata, naso accentuato, labbra cadenti) per caratterizzare, insieme alla formidabile parlata balbettante, un pugile fallito e genio del crimine della domenica; Totò, notoriamente non amato dalla critica colta, ma fortemente caldeggiato dai produttori del film ( a differenza di Gassmann, a cui la produzione avrebbe preferito Sordi), con uno dei cammei entrati a ragione in un’ipotetica antologia delle “partecipazioni straordinarie”, nel ruolo del maestro di scassinaggio agli arresti domiciliari Dante, che dà ripetizioni ai protagonisti e che affitta loro le armi del mestiere; Mastroianni e Salvatori, due “belli” del cinema italiano; e a completare la banda di questi criminali da strapazzo vi sono caratteristi come Tiberio Murgia nel ruolo del siciliano, oppure il Capanelle di Carlo Pisacane, vecchietto sdentato che si arrende subito all’idea, non proprio malvagia, di rubare “pasta e ceci”(come reciterà il titolo del giornale del giorno dopo). Non mancano poi sfumature rosa con i personaggi di Carmelina (Claudia Cardinale), sorella del siciliano Ferribotte , e della servetta (una deliziosa Carla Gravina).

Infatti l’elemento più innovativo e originale del film è costituito dall’articolata caratterizzazione dei personaggi non più ritratti secondo i moduli del bozzettismo e della caricatura, ma arricchiti da un proprio spessore umano ed affettivo; la vena drammatica della pellicola, invece, non si esaurisce solo nei personaggi, ma si accompagna al ritratto di una Roma estranea ai processi economici del boom di quegli anni. E’ la Roma dei quartieri popolari, della periferia degradata, del sottoproletariato urbano di pasoliniana memoria a far da sfondo alle gesta della sgangherata “banda del buco”.

 A questo proposito,come emblema, merita una citazione il breve dialogo che vede protagonista Capanelle in mezzo a un gruppo di ragazzini del sottoproletariato di periferia, a cui chiede se conoscono un certo Mario. Uno di loro risponde che “Qui de Mario ce ne so’ cento” e allora l’anziano aggiunge, come se fosse un elemento di discrimine determinante, che questi è uno che ruba e di rimando si sente rispondere seccamente, “Sempre cento so’!”. 

Il film, uscito nel 1958, vinse due Nastri d’argento e fu candidato all’Oscar 1959 come miglior film straniero (e come nella miglior tradizione, non lo vinse).

A tutt’oggi rimane uno degli esempi di cinema italiano più imitati (ed amati) all’estero, ma anche in Italia, dato che film di questo genere- vale a dire la vera commedia- non se ne vedono più.

 

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