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L'orgoglio degli Amberson

Regia di Orson Welles vedi scheda film

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La recensione su L'orgoglio degli Amberson

di Ivs
10 stelle

Difficile a credersi, ma la storia della sua realizzazione è interessante quasi quanto il film. L'opera che doveva decretare la definitiva ascesa del 'genio' Welles venne infatti martoriata dalla produzione, in un crescendo di prepotenze che stravolsero l'originario disegno dell' autore. Durante la permanenza del regista a Rio de Janeiro per le riprese del documentario "It's all true" (Trad. "E' tutto vero"), la RKO passò infatti nelle mani di Howard Hughes. E i produttori, incuranti della volontà del regista, decisero - con la collaborazione dell'allora montatore Robert Wise - di sforbiciare la pellicola di ben 3 bobine (45 minuti in totale), girando ex novo altre tre scene (non previste nell'originale stesura) e inserendo nel 'final cut' un happy ending posticcio e banale, in sostituzione di quello originale, considerato troppo 'pessimista' per i tempi.
Il film uscì comunque nelle sale e Welles - ovviamente - disapprovò del tutto la congiura ordita nei suoi confronti; come si può leggere dalle numerose interviste, rilasciate dal regista nel corso degli anni, la molla che lo spinse a realizzare il film, a parte l'indubbia caratura del romanzo originale di Tarkington, fu data proprio dal suo desidero di filmare il lento e inesorabile disfacimento degli Amberson. Soddisfazione che gli venne negata visto che di quelle parti oggi non vi è più traccia (voci ufficiali le danno per distrutte, a meno di miracolosi ritrovamenti).
Ma nonostante questi problemi produttivi il film, giunto a noi in una copia di soli 88 minuti, riesce a sprigionare ancora oggi, immutata, tutta la sua forza magnetica. "L'orgoglio degli Amberson" è infatti una lucida e spietata riflessione sulla Storia, sul destino e sull'incapacità di una certa società di comprendere i cambiamenti. Le ricchezze, i titoli e le apparenze altro non sono che uno specchio deformante, che offusca la percezione e non permette alla nobiltà di capacitarsi del suo lento e inesorabile disfacimento. Una rovina che colpisce dal basso, che toglie più di quanto ha dato, e che come un presagio di morte stritola nel suo velenoso abbraccio qualsiasi cosa incontri nel suo cammino. Il senso della Storia - sembra dire Welles - sta proprio nel suo rimettersi continuamente nelle mani del destino: non esistono obiettivi e aspirazioni, così come non vi possono essere certezze in un mondo che rimescola continuamente le sue carte. E' tutto effimero e sfuggente, così come l'amore, provato dai protagonisti ma mai vissuto pienamente da nessuno di loro. Un senso di costante oppressione, che lo stile barocco e il grandangolo non fanno che amplificare e rendere quasi 'insostenibile'. Un mondo in cui pure l'orgoglio dovrà essere messo da parte, residuo malinconico di un passato che non può più tornare, e che trova nella figura di Joseph Cotten - precursore di una società in cui il rispetto e l'onesta intellettuale sono forse gli unici valori sopravissuti - l'unico vero vincitore. Un parallelo col "Barry Lyndon" di Kubrick sarebbe interessante: se là era la Storia a punire l'Uomo che, animato dalla brama di potere, cercava di sovvertire l' 'ordine naturale' delle cose, qui è invece è l'immobilismo, l'incapacità di adattarsi ai tempi a portare all' inevitabile e amara sconfitta. Comunque la si pensi, entrambi capolavori.

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