Regia di Billy Wilder vedi scheda film
In un week-end ("perduto" nel titolo originale) in cui sfugge alle premurose attenzioni del fratello e della fidanzata, lo scrittore alcoolizzato Don tocca il fondo dell'abiezione (mendica al barista e ad una prostituta innamorata di lui, ruba, mente, viene ricoverato in un ospedale per alcoolizzati, ha allucinazioni), fino a decidere il suicidio, sventato all'ultimo momento dalla fidanzata che lo convince a scrivere il racconto della propria vicenda, già progettato fra una bevuta e l'altra (occasione per un lungo flash-back), che si suppone lo salverà. Il racconto è reso più drammatico dal concentrarsi (psicologicamente poco credibile), in un solo week-end, di tutte le esperienze comuni a ogni alcoolizzato; l'efficacia "retorica" è indubbia, la salvezza finale è giustificata dalla crudezza incalzante di esperienze mortificanti, fra cui le allucinazioni (un topo attaccato da un pipistrello, di effetto "facile" ma funzionale al lieto fine...); molto più discutibile il "messaggio", che, preso alla lettera (al di là delle intenzioni esplicite del regista, ma soggiacente alla mentalità americana, ormai esportata anche in Europa), condanna l'alcoolismo del genio che si demoralizza di fronte alle prime difficoltà, ma sembra giustificarlo per chiunque non sia genio e non abbia quindi il dovere e la motivazione per uscirne e per fare qualcosa di utile; si aggiunga che i precedenti prodotti del protagonista erano stati considerati di nessun valore e la storia non ne propone un giudizio diverso: solo la documentazione del proprio dramma costituisce un valore vero, il che non può costituire un argomento solido per nessun messaggio sociale. A meno che non ci sia anche in questo una ulteriore ironia, analoga a quella di altri film di Wilder... Ma non sembra: è troppo radicata in America (e ormai diffusa anche da noi, anche nelle scuole, con la lezione di psicologi e pedagogisti del behaviourismo) l'idea che ogni frustrazione, ogni angoscia esistenziale, debba essere superata solo grazie all'autopersuasione della propria capacità di emergere: si confronti con la lezione del Matto a Gelsomina che ne La strada voleva uccidersi per analoga sfiducia nelle proprie capacità: ci mancherebbe altro che solo la genialità (o peggio, la menzognera illusione di averla) debba dissuadere dal proposito di suicidio (o dalle droghe)! Eppure gli psicologi se ne servono ormai sistematicamente, facendo sempre più danni: più si diffondono tali interventi psicologici, più cresce l'insoddisfazione, il disagio, l'uso di droga, come è ovvio che sia. Poiché il messaggio è essenziale e centrale in questo film, non se ne può prescindere nella valutazione estetica; che resta positiva, ma non massima. NB a Mereghetti: l'incubo avviene in casa, non all'ospedale, e vede un pipistrello che attacca un topo e non viceversa!
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