Espandi menu
cerca
Il boia

Regia di Michael Curtiz vedi scheda film

Recensioni

L'autore

fixer

fixer

Iscritto dal 17 febbraio 2006 Vai al suo profilo
  • Seguaci 50
  • Post 46
  • Recensioni 93
  • Playlist 47
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Il boia

di fixer
4 stelle

Michael Curtiz ha diretto una decina di western, senza particolari meriti. Curtiz è più un regista di film d’avventura, soprattutto se interpretati da quel magnifico mascalzone che fu Errol Flynn, con cui ebbe epici scontri ma anche ottimi risultati.
Il film in questione non è memorabile, va detto subito, ma vale la pena soffermarcisi per alcuni motivi.
Il primo è la quasi totale assenza d’azione. E’ uno di quei film che, mutatis mutandis (e cioè, per esempio, potrebbe essere benissimo un buon film poliziesco o, con qualche accorgimento, un noir).
Questo perché mancano degli ingredienti sostanziali tipici del western, come ad esempio i pellerossa, i duelli alla pistola, le sparatorie, gli agguati, le risse da saloon, l’azione e il ritmo.
Ce ne sono altri, però, come lo sceriffo sulle tracce di un ricercato, l’inseguimento (pur se quasi posticcio), la “bella” che si innamora del rude cavaliere.

Il secondo motivo è l’introduzione di elementi comici che risultano quasi assenti nei western classici. Il ruolo, ad esempio, dell’anziana signora (Mabel Albertson) che si incapriccia, rendendosi ridicola, del protagonista, Robert Taylor, rende piacevole il film e lo indirizza verso un tipo di western meno cupo di quanto le prime scene o il titolo stesso potrebbero far pensare.

Del resto, a Curtiz le atmosfere cupe, tetre, tipiche di certi film polizieschi o addirittura noir, non si addicono. Egli è regista soprattutto di drammi intensi, di avventure eroiche, di ribalte di gloria. Ha diretto, è vero, anche discreti gangster-movie (come GLI ANGELI CON LA FACCIA SPORCA)o thriller (come IL ROMANZO DI MILDRED o IL PUGNALE CINESE), ma, come si diceva all’inizio, non è possibile pensare a Curtiz senza pensare alla grande avventura, al memorabile CASABLANCA o al dramma biografico come CHIMERE o magari a come riusciva a farsi ubbidire dal “ribelle” Errol Flynn o a fare ballare (e bene)il “duro” James Cagney.

Il film in questione non è altro che un’inchiesta di tipo poliziesco volta a smascherare un ricercato che vive sotto falso nome in una cittadina che ha imparato ad apprezzarne le doti umane e civili.
A differenza di tanti western, una volta smascherato l’uomo, lo sceriffo lo lascia andare, convinto della sua innocenza. Non c’è quindi il duello finale, ma un percorso di graduale riflessione e rinsavimento che diventa l’elemento cruciale del film.
Si tratta di uno di quei film che potrebbero essere utilizzati, come si diceva all’inizio, cambiando l’ambientazione, in un buon poliziesco. Lo sceriffo potrebbe essere benissimo un investigatore alla ricerca di un ricercato di cui però non si conosce l’identità e che poi risulta essere innocente. Qualcosa tipo IL FUGGITIVO”(di Andrew Davis)(1993).

La cosa interessante è che il film sembra stabilire un contrasto fra l’essere sceriffo ed l’essere giusti ed onesti.
Si adombra quindi l’idea che la giustizia sia spietata e che, una volta emessa la sentenza, non vi sia più spazio per il dubbio, per una possibile svista o errore. Il cinema americano, del resto, è pieno di esempi che rafforzano questa idea. E il popolo sembra, almeno fino a qualche anno fa, premiare coloro (dai presidenti ai governatori) che credono ciecamente alla pena di morte.
Tuttavia, essa diventa un incubo terribile quando nel racconto si insinua o si vede chiaramente che l’accusato è innocente.
Nella mentalità americana conservatrice, la pena di morte è il giusto castigo (Vecchio testamento)per chi si è macchiato di gravi delitti e, pur in presenza di clamorosi errori giudiziari (Sacco e Vanzetti docent), il sistema funziona. Il finale è fatto su misura per chi ama l’happy ending ed è fin troppo chiaramente una conclusione edulcorata e posticcia.

Di Fess Parker, il ricercato, c’è poco da dire. La sua è un’interpretazione grigia, così come lo è stata la sua carriera. Diverso è il discorso per Robert Taylor. E’ il primo ruolo che interpreta dopo la fine del suo contratto con la MGM. E’ un attore ricordato non tanto per i suoi ruoli western, anche se va detto che se l’è cavata molto bene. SFIDA NELLA CITTA’ SEPOLTA, IL PASSO DEL DIAVOLO e soprattutto L’ULTIMA CACCIA sono film più che discreti. Qui invece, l’attore è forse il solo elemento di qualità dell’intero film, l’elemento che lo innalza di una spanna al di sopra della mediocrità generale. Anche se, a mio avviso, una delle sue più belle interpretazioni rimane, almeno per me, quella dell’avvocato Farrell in IL DOMINATORE DI CHICAGO (PARTY GIRL)(1958), uno dei migliori film in assoluto di Nicholas Ray.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati