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Blow Up

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su Blow Up

di ed wood
8 stelle

Quando vidi questo film, oltre 10 anni fa, scrissi su questo sito le seguenti parole di commento: "tedioso, intellettualistico, irrisolto: forse il peggior Antonioni di tutti i tempi. Uno spunto originale ed interessante si risolve in un'estetizzante e modaiola parata di donne vogliose, spinelli, musica beat...La swinging london e' ricostruita in maniera deprimente. Orrendo!!!" :-) Ora, sinceramente non so cosa mi avesse portato a scrivere simili sciocchezze, fatto sta che è passata una decade, nella quale ho avuto modo di vedere e rivedere centinaia di film, molti dei quali palesemente "antonioniani" e, nel corso del tempo, le mie idee sul cinema sono parecchio mutate (per fortuna). In genere, non vado a riscrivere le mie opinioni di 10 anni fa, perchè in fondo, anche se si tratta di sentenze isteriche e tagliate con l'accetta, ci sono affezionato. Però c'è un limite a tutto: un po' mi vergognavo a lasciare scritte quelle brutte cose su questo indispensabile capitolo del discorso che il nostro Antonioni seppe articolare sul tema, meta-testuale e centrale in certa filmografia dei nostri giorni, della visione, del senso stesso dell'immagine filmica. La mia passata contestazione del presunto approccio "modaiolo" di Antonioni sulla Swinging London dei 60's era ovviamente un puro fraintendimento. Fin dalle prime battute, quando il Hemmings fotografa la sua modella in una scenografia pop e col sottofondo di musica beat, si instaura un discorso sul rapporto fra l'immaginario patinato dell'estetica pubblicitaria e lo sguardo critico, poetico e simbolico del regista d'essai: Hemmings pare quasi voler violentare la modella, possedendola brutalmente non col corpo, ma con l'occhio filtrato della fotografia. D'altra parte, il protagonista di questo film utilizza metodi tirannici con le proprie modelle, poichè pretende (povero illuso!) di avere sotto controllo la realtà che vuole riprodurre. Tutto il film si basa su una dialettica fra la superficialità della Londra modaiola dell'epoca e la profondità dello sguardo registico, fra l'immobilità delle modelle e l'incessante affanno del fotografo (contrappuntato dalla mdp "indagatrice" di Antonioni), fra la fisica di corpi, vestiti e fondali che paiono impenetrabili e la metafisica ossessiva di una regia che pare voler cercare di estrarre la polpa da quella vacua sfilata di figurine alienate. C'è effettivamente qualche lungaggine, qualche passaggio inessenziale proprio perchè fin troppo programmatico (la visita al negozio di antiquari, il surreale concerto con la chitarra spezzata: due momenti in cui si palesa una ossessione per il feticismo degli oggetti che pare più vicina a Ferreri che ad Antonioni); c'è una critica alla vacuità della Londra mondana forse un po' fuori luogo (la festa radical-chic), però tutto il resto è una miniera di spunti da cui hanno attinto a piene mani svariati cineasti, in tutto il mondo, anche oggi. Il tema di una immagine che risulta fallace tanto dal punto di vista rappresentativo quanto da quello morale (la reponsabilità del fotografo come in "Professione Reporter"; il cinismo di Hemmings e del suo editore quando commentano l'album con foto di drammi sociali) viene sviscerato con una varietà di letture e sottotesti da perderci la testa. La fotografia è impotente, gli ingrandimenti paiono confondere anzichè chiarire e frustranti sono i tentativi di ricostruire la scena di un delitto disponendo le foto tridimensionalmente sui muri di una stanza; il cinema, coi suoi piani-sequenza, i suoi continui movimenti ed avvicinamenti tenta di scovare una verità, e poi forse la trova: ma siamo sicuri che si tratti di una "vera verità"? o forse è anch'essa solo un'immagine, un'illusione? quel cadavere intravisto in una foto e ritrovato da Hemmings nel parco esisteva davvero oppure era solo il frutto di una visione del fotografo? forse è la perversione dello sguardo, malattia che può colpire chi si occupa costantemente dell'immagine e della sua creazione, ad aver "generato" quel cadavere? In tutto questo, i corpi, l'erotismo, la sensualità servono da disperato sfogo per ritrovare una fisicità compromessa dalla virtualità dell'immagine riprodotta. Eppure, l'orgia con le due giovani modelle, con il telone viola accartocciato, cerca la catarsi, ma registra solo l'affanno del cine-occhio nel restituire un senso di autenticità a ciò che sta filmando. E la sconfitta, quindi, non è solo quella dello sguardo fotografico, statico, ma anche di quello cinematografico, dinamico, come testimonia lo splendido finale: la partita di tennis "virtuale", con la pallina-fantasma inseguita dalla macchina da presa resta forse la miglior rappresentazione, fra metafora e poesia, dell'illusorietà della messinscena cinematografica.

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