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Film blu

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su Film blu

di Aquilant
8 stelle

Un’automobile in transito, a malapena avvertita dall’orecchio distratto del giovane passante, e pochi secondi dopo lo schianto, immane, ineluttabile, spiazzante. L’occhio semicosciente percepisce anticipatamente l’annuncio di morte e da un letto di sofferenza d’ospedale si diparte il grido di rinuncia alla sopravvivenza, in un perentorio ripiegarsi sulla propria cristallizzata solitudine, nell’appannata esaltazione di un disincantato ed anodino divenire.
Un film dai toni smorzati, dall’apparentemente scarnificata linearità, dove l’itinerario catartico di una donna volontariamente immersa in vuoti di memorie ed intenta a ritrarsi dal suo passato è inteso dall’autore come un grido di libertà e di dissociazione dagli affanni del mondo conseguentemente ad un’irreparabile perdita. Come un affrancamento da coinvolgimenti amorosi in stanze drammaticamente disadorne, da reminiscenze musicali trattate alla stregua di spazzatura, dal possesso di cose materiali il cui ricordo riacutizza lancinanti ferite da piaghe ancora aperte. Come una cancellazione della perdita dei beni più preziosi imposta nel più completo ripudio dei sentimenti.
In “Film blu”, primo anello di una trilogia ispirata ai tre colori della bandiera francese ed ai tre principi della rivoluzione francese: "Liberté, Egalité, Fraternité", la libertà volontariamente scelta da Julie, la protagonista, le consente solamente di vivere un’esistenza di autoreclusione nel chiuso di anonime stanze solitarie, in un conclamato addio alla propria voglia di vivere, tutto giocato sulle traumatiche emozioni di un momento di perdita irreparabile. Libertà che pesa, che fa percepire la sua opprimente presenza in ogni istante della vita, ma che in compenso aiuta a svuotare la mente della presenza di ingombranti ricordi.
Film sublimato da Kieslowski (che impone alla sua musa un’interpretazione basata più sul cervello che sul cuore) in virtù di un incessante omaggio all’indiscussa protagonista della vicenda, Juliette Binoche, personalmente ispiratasi per la sua avvolgente interpretazione al libro di Annie Dupré, “l’Angelo nero”, basato appunto sulla morte dei genitori dell'autrice in un incidente automobilistico. Il suo personaggio è condannato ad un perenne tormento interiore, privo della facoltà di emergere catarticamente alla luce, in un disarmante rifiuto di tutto ciò che la circonda, passaggio necessario per un’auspicabile rinascita dopo la catastrofe e per il raggiungimento di un rinnovato equilibrio esistenziale. Kieslowski le innalza un vero e proprio inno di lode, esaltandola e valorizzandola in tutti i modi possibili ed immaginabili. Ogni minimo ingranaggio gira e rigira attorno a lei, concepito essenzialmente in sua funzione. Julie è la musa trascinatrice del meccanismo filmico, dedita ad un lento ma deciso ritorno alla vita, in un processo graduale che porta ad un sorriso di liberazione a malapena abbozzato, sulle ali di una melodia ispirata alla prima lettera ai Corinzi di San Paolo.
Il regista inserisce sottili metafore lungo l’intero arco della narrazione, intento a guardare la sua creatura con l’occhio dello psicologo, girando con sobria ma raffinata eleganza di stile. Ammanta per alcuni secondi di nero lo schermo ogni volta che forze esterne incalzano da vicino la donna riportandole alla mente quei dolorosi ricordi che lei vuole cancellare per sempre. Inserisce una sequenza in cui Julie scorge (o forse immagina) ad occhi chiusi una vecchia cadente ormai alla fine del cammino della sua vita (riflesso di sé stessa in un lontano futuro?) che si trascina a fatica sul marciapiede, la schiena spezzata dagli anni. Adombra un rappreso dolore di madre all’idea di far fuori una nidiata di inermi topolini. Inserisce la figura di un misterioso musicista di strada che inspiegabilmente fa risuonare le note dell’inedito inno per l’unificazione composto a suo tempo dal marito di Julie.
Ma è il BLU del titolo a predominare ovunque. Blu come le tonalità della piscina, fedele compagna di solitudine inserita a pieno merito nella nuova esistenza della donna, accogliente liquido amniotico da cui è arduo separarsi a causa della realtà esterna che riporta a galla devastanti reminiscenze. Blu come il colore di una stanza un tempo riecheggiante di gioia ed ora vuota e deserta. Come il lampadario, oggetto rivelatore di mille ricordi, portato con sé come unica memoria di un tempo di felicità. Come i riflessi che si posano sul viso corrucciato di Julie a causa di misteriosi rumori che risuonano giù per le scale. Come le note che scorrono sul pentagramma in un crescente inno all’amore. Ma soprattutto blu come simbolo di freddo vuoto dell’anima che giace riversa su sé stessa, temporaneamente sorda alle campane della vita che le risuonano intorno.







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